Si era definito «apostolo di violenza» e, dopo la guerra di Etiopia , si era anche illuso di avere le qualità dello stratega. Entra in guerra,consapevole di tuttele carenze e le debolezze dell'esercito che mette in campo, solo perché non resti offuscata la sua immagine di condottiero nel caso di una vittoria tedesca
Quando si presentò al balcone di Palazzo Venezia alle sei di sera del l0 giugno 1940 per vendere pubblicitariamente alla folla sterminata e delirante la sua idea di guerra, Benito Mussolini faceva i conti nel modo più vistoso non solo con la storia d'Italia ma anche con la sua personale di uomo e di leader. L'ora «segnata dal destino nel cielo della nostra patria» era soprattutto la sua: in quella sfida cieca con la sorte e nelle decisioni dei mesi che seguirono si risolse il conllitto di una personalità che nel bene e nel male, si può dirlo ora senza timore d'essere fraintesi, è stata tra le più ricche e complesse del secolo. Mussolini è una figura straordinaria. Il suo carattere è contraddittorio, tortuoso, superficiale, esaltante, melodrammatico, geniale: una specie di somma emblematica dei vizi e virtù degli italiani, da Giulio Cesare ai condottieri ad Alberto Sordi. «Italianissimo» se mai ve ne furono, cioè entusiasta, pasticcione, anarchico, immaginoso e farraginoso, Mussolini segna la seconda guerra mondiale con le stigmate della sofferenza e dell'improvvisazione, dell'intuizionee dello sbaraglio. Guerra per Mussolini, come per molti altri protagonisti della storia (anche Napoleone), è freudianamente anche la selvaggia tensione con la quale si avventa nelle lotte del sesso. Orgogliosamente egli ricorderà per tutta la vita lo stupore che avevano dimostrato le pur scafate prostitute del bordello di Forlimpopoli quando quel giovanotto le aveva aggredite con vigore taurino; e allorché si troverà di fronte al primo amore non pagato della sua giovinezza, passando a una bella ragazza dopo aver fatto l'addestramento con le prostitute, vorrà stupire anche lei, al punto che ricorderà di averla praticamente, violentata. La guerra fa quindi parte integrante del complesso carattere di quest'uomo che amerà definirsi «un apostolo di violenza». Non a caso quando dovrà trovare delle epigrafi per il giornale a cui legherà tanto di se stesso, il Popolo d'Italia, cercherà delle affermazioni bellicose: «Chi ha del ferro ha del pane» di Blanqui e «La rivoluzione è un'idea che ha trovato delle baionette» di Napoleone. Certo, per reggere la parte di condottiero, Mussolini avrebbe dovuto acconciarsi a qualcosa che non gli andò mai a genio: dare fiducia almeno a qualcuno di quelli che gli stavano attorno. Balbo gli dirà chiaramente a metà maggio del 1940 che lltalia non può mettersi in campagna per almeno due mesi: e che per muoversi dovrebbe ricevere una quantità incredibile di armi e rifornimenti. Ma la cassandra meno ascoltata del secolo rimane il generale Carlo Favagrossa, sottosegretario alla Produzione di Guerra, il quale spiegherà che, anche se l'Italia ricevesse immensi rifornimenti, la prima data possibile per l'ingresso in guerra sarebbe pur sempre l'ottobre 1942. Lo stesso Badoglio protesta (o così sosterrà in seguito) contro la volontà di battersi nonostante l'impreparazione. E Mussolini gli dirà la frase: «Ho solo bisogno di qualche migliaio di morti per poter sedermi alla conferenza di pace come uno che ha combattuto».
Comportandosi così, Mussolini non solo cancella le possibilità. di essere ricordato come uno stratega ma descrive efficacemente, con i suoi comportamenti, uno stato d'animo fondamentale nella vita nazionale, anche oggi: quello per cui nei settori più disparati si assiste al regno della più profonda impreparazione e disorganizzazione e irrazionalità, ma quasi per un patto tacito la cosa viene ignorata e al capo che predica impegno e progresso si risponde facendo capire velatamente che le cose non vanno, ma omettendo di andare al nocciolo della questione. Incoscienza individuale e collettiva, che si risolve spesso in autentici disastri, ma che viene tenacemente perseguita. Mussolini è stato il massimo suscitatore di questo difetto nazionale. Con lui tutto dev'essere tentato, nello spregio delle più elementari regole di organizzazione; con lui si devono accettare tutte le situazioni che conducono alla crisi finale, come accade al nostro esercito che affronta gli inglesi in condizioni di paurosa impreparazione e di inferiorità intellettuale prima ancora che di mezzi. E tutto si avvia così a dei malinconici «25 luglio» e «8 settembre», dei quali il più meravigliato di tutti sembra essere proprio il Capo, colui che ha chiesto ai subordinati di tenergli nascoste le condizioni reali e che ora si stupisce perché la follia dei comportamenti, denunciatagli solo da alcuni (pochi)- anticonformisti, ha portato le imprese al disastro. L1talia di Mussolini e il corso della seconda guerra mondiale riflettono queste anomalie del suo carattere. Nel duce s'individuano orrore per l'organizzazione, costante ricorso all'improvvisazione, esaltazione dell'ignoranza; che sono rimaste, dopo di lui, caratteristiche anche dell'Italia democratica. E significativo ch'egli, nella montagna di carte che si faceva deporre sulla scrivania per mostrare la propria foga di lavoratore inesauribile, pescasse due memorandum che sostenevano tesi opposte e segnasse con un vistoso tratto di lapis «Approvato» su entrambi. Ma allora se questo Mussolini, è un condottiero velleitario e fallito, perché all'inizio lo abbiamo definito un protagonista d'eccezione? La tesi è ardita e in parte nuova. Mussolini, anche come stratega, vive per le sue eccezionali intuizioni propagandistiche. In mezzo al deserto dell'impreparazione e del fallimento, si muove come un apprendista stregone, come il mago dell'illusionismo e della psicologia delle folle. Poche volte un dittatore contemporaneo ha saputo sposare come lui l'assoluta irrealtà delle situazioni e la sapienza nel manipolare i fatti e le opinioni. «lo sono colui che cerca», è un'altra delle sue epigrafi predilette. In realtà quella ricerca è un carattere di grandezza: ma è una ricerca giornalistica da Quarto Potere: la capacità di captare il consenso delle masse e l'universalità dei mass media, l'abilità di diventare centro di un universo fittizio ma totalizzante. Questi aspetti della sua figura sono illustrati anche dalla sua ultima battaglia. Dittatore ormai senza scettro, ridottosi alle rive grige e malinconiche di un lago, nei mesi della paura e dell'orrore, Mussolini alla testa del suo ulti-· mo pugno di fanatici appare più che mai privato delle qualità dello stratega, oltre che dei mezzi. Ma nonostante ciò la sua figura acquista caratteristiche tragiche e la sua capacità di propagandista lo libra al centro di un palcoscenico deserto, con assoluto rilievo. E sino alla fine la sua figura appare emblematica della realtà del mondo contemporaneo. Essa dimostra che la forza della propaganda e la costruzione della pura apparenza possono edificare una realtà imponente e provocare il consenso delle masse. Velleitario come stratega ma geniale come propagandista, Mussolini è il vero protagonista del secolo dei giornalisti: quando lo sfruttamento accorto dei mass media al servizio del potere permette d'inchiodare le masse al rispetto e alla devozione per l'assoluto inesistente.
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