Cronologia degli eventi

mercoledì 26 gennaio 2011

L'Italia entra in guerra

Nei giorni in cui Hitler trionfa il suo principale alleato, Mussolini, soffre. Sa di essere impreparato alla guerra ma, dopo anni di propaganda militarista, gli manca ilcoraggio di confessarlo al Fuhrer e alla nazione. Nella prima iniziativa bellica, contro la Francia già sconfitta, pensa di andare incontro a un facile successo, ma deve presto ricredersi.
La nuova parola d'ordine «non belligeranza» il duce l'ha coniata forse perché, rispetto a quell'altra, neutralità, ha un suono più guerresco.o, se si vuole, meno «pacifondaio» (altro neologismo mussoliniano). Con questa parola, comunque, le storie patrie indicheranno la politica estera italiana dei 284 giorni che vanno dallo scoppio delle ostilità fra Germania, Francia, Gran Bretagna, e il 10 giugno 1940, nostra entrata in guerra a fianco del Terzo Reich. Il 10 settembre 1939, infatti, parlando al Consiglio dei ministri Mussolini annuncia: «non verrà assunta iniziativa alcuna di operazioni militari». Ed evidentemente, non lo fa volentieri perché il Guardasigilli Grandi così descrive il duce durante quella seduta: «Era troppo evidente che contrastanti sentimenti cozzavano in lui. La delusione, l'amarezza, seppure contenute attraverso un linguaggio freddo, traspiravano da ogni parola. Egli terminò la relazione dichiarando che era dovere e interesse dell'Italia rimanere estranea al conflitto dopo che la Germania era venuta meno ai suoi impegni di alleata, e proponendo che il governo italiano formalmente deliberasse la non belligeranza. La proposta (di fatto la decisione di Mussolini) venne accolta con unanime vocedi sollievo». Dura poco, pero. A Mussolini prudonole manì: vede i successi militari della Germania e vuole emularli. Il 4 settembre manifesta a Ciano l'idea di attaccare la Jugoslavia «per giungere ai petroli romeni»; due giorni più tardi Ciano riferisce al principe Clemente Aldobrandini affinché lo riferisca inVaticano, che «la neutralità italiana vera e propria» appare incerta. È evidente che, al di là del portone di bronzo, la dichiarazione provoca un momento di allarme perché si manda subito in esplorazione padre Tacchi Venturi, consigliere spirituale di Mussolini.

 Il gesuita torna rassicurato dicendo di aver saputo da Ciano, «a nome dell duce», che «la dichiarazione fatta dal Consiglio dei ministri equivale a una  vera e propria dichiarazione di neutralità. E intenzione di Mussolini che tale rimanga fino al termine del conflitto, il quale non si esclude possa aver termine anche dopo alcune settimane, ultimata la guerra contro la Polonia». E qui, in questo discorso dalla sintassi zoppicante, cade una frasetta ambigua, dove c'è certamente lo zampino del duce: «Non si possono umanamente prevedere gli eventi che potrebbero costringere l'Italia, nonostante 'il presente proposito di rimanere neutrale, a seguire invece altra linea di condotta». E un'altalena che andrà avanti per nove mesi; ora Mussolini fa rinviare la visita di Franco in Italia comunicando a Madrid l'eventualità che le circostanze gli facciano rivedere la non belligeranza; ora caldeggia l'idea di costituire in Europa un «blocco dei neutri» con le nazioni danubiano-balcaniche ma comprendente la Spagna; ora corre dal re a spiegargli che non c'è motivo di preoccuparsi del «fronte interno»: «Dai rapporti dei prefetti, della polizia e dei miei federali risulta che il popcb italiano va ritrovando il suo equilibrio normale. I fenomeni, del resto parziali, di sbandamento si ebbero per effetto dello sgombero delle città, per l'oscuramento, per i richiami alle armi, per l'incetta dei generi alimentari, e tutto ciò diede luogo a un mucchio di voci». Questo atteggiamento del duce, ormai orientato ad abbandonare la non belligeranza e a schierarsi al fianco della Germania, induce Roosevelt a compiere una prima mossa inviando in Europa il sottosegretario al Dipartimento di. Stato, Sumner Welles, con l'incarico di accertare le possibilità di una pace di compromesso visto che il conflitto, sul fronte occidentale, non è ancora esploso. Missione difficile che si concluderà con un nulla di fatto. Al convegno del Brennero, con Hitler, fissato per lunedì 18 marzo 1940, il duce -secondo appunti riservati raccordi dal cardinale Maglione -per tre volte dice al Fiihrer «siamo pronti a marciare assieme a voi». Sulla data dell'entrata in guerra dell'Italia, Mussolini è più incerto: forse a giugno, forse ad agosto. Spiega, infine, le ragioni del proprio ritardo aggiungendo, però, che governo e partito sono ora convinti dell'impossibilità di rimanere neutrali. Ma la situazione economica non consente all1talia una guerra di lunga durata: «Ove l'avanzata tedesca dovesse svolgersi con ritmo più lento» annota il verbale dell'incontro, «il Duce attenderebbe fmo al momento in cui il suo intervento nell'ora decisiva possa essere di reale aiuto alla Germania».

Il dado, dunque, è stato tratto e la mattina del 9 aprile 1940 il capo di Stato Maggiore generale, marésciallo d'Italia Pietro Badoglio, riunisce i capi di Stato Maggiore: Graziani (Esercito), Cavagnari (Marina), Pricolo (Aeronautica) e fa un bilancio: se non si tiene conto della Milizia, che nel 1939 ha quasi 800 000 uomini arruolati con quadri scadenti e pessimo armamento (tutto leggero, in pratica), l'Italia sta mobilitando un esercito di 1580000 uomini di truppa e 53000 ufficiali: di questa forza, però, 423000 uomini e 8750 ufficiali sono adibiti ai servizi territoriali, alla difesa contraerea e ai depositi. Nel complesso, l'esercito conta 74 divisioni di cui solo 19 complete di uomini e di armi (lo ha rivelato nelle memorie del dopoguerra il generale Carlo Favagrossa); 34 efficienti ma incomplete e 21 poco efficienti. Si nota che gli uomini, a livello di truppa e di graduati, sono in gamba, hanno molte qualità di adat· tamento, sopportano bene la fatica, il maltempo, gli sforzi ripetuti e stressanti (benché, in fondo, mangino poco: il nostro rancio consiste in 250 grammi di carne al giorno mentre il soldato inglese ne ha 350 e quello francese 450; in 20 grammi di zucchero contro i 50 inglesi e i 48 francesi; in 15 grammi di caffè mentre gli inglesi ne hanno 35 e i francesi 30 e niente pancetta quando l'inglese se ne mangia più di mezz'etto e il francese 20 grammi). I quadri superiori, invece, lasciano a desiderare. Ma Mussolini è impaziente, vuole battersi a tutti i costi. Al generale Rossi ha spiegato: «Se dovessi aspettare di avere l'esercito pronto dovrei entrare in guerra fra alcuni ànni mentre devo entrare subito. Faremo quello che potremo ». E a Badoglio ha confidato: «La guerra sarà breve. A me occorrono soltanto un po' di morti per sedermi al tavolo della pace dalla parte dèl vincitore». Il piano di guerra del duce -trasmesso a Badoglio con la famosa «Memoria» del 31 marzo 1940 -stabilisce questi punti:
A) Fronte terrestre
 -Difensiva sulle Alpi Occidentali. Nessuna iniziativa. Sorveglianza. Iniziative solo nel caso, a mio avviso improbabile, di un completo collasso francese sotto l'attacco tedesco. Una occupazione della Corsica può essere contemplata ma forse il gioco non vale la candela [...].
-A Oriente, verso la Jugoslavia, in un primo tempo osservazione diffidente.
Offensiva solo nel caso del collasso interno di quello Stato [...].
-Libia. Difensiva verso la Tunisia
quanto verso l'Egitto [...].
-Egeo. Difensiva.
-Etiopia. Offensiva per garantire l'Eritrea [...].
B)Aria
-[...] Attività offensiva o difensiva a seconda dei fronti e a seconda delle iniziative nemiche.
C) Mare
-Offensiva su tutta la linea del Mediterraneo e fuori.
Così, la dichiarazione di guerra italiana avviene lunedì l0 giugno, festa di santa Margherita vedova, nella consueta coreografia delle grandi adunate del regime. A Roma, già alle 16.30, la folla comincia ad addensarsi in piazza Venezia; ormai tutti. più o meno sanno che il giorno deciviso è arrivato. Lo rivelano persino i giornali invitando con enormi titoli il popolo a scendere nelle piazze (l'ultima «velina», è delle 7.11 del 10 giugno: «Tenetevi pronti per una edizione straordinaria» avverte, «ma che non esca dalla tipografia prima delle17»). Il duce parla alle 18.15; un discorso divenuto famoso di non più di 700 parole: «... Un'ora segnata dal destino
batte nel cielo della nostra patria: l'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia». Dagli Stati Uniti il presidente Roosevelt bolla la decisione italiana con terribili parole (In questo 10 giugno 1940 la mano che stringeva il pugnale lo ha piantato nella schiena del vicino») ma sulle Alpi, dalmonte Bianco a Ventimiglia, i soldati rimangono con le armi al piede. Solo il 12 giugno -mentre le truppe tedesche vittoriose stanno occupando Parigi -un reparto francese della Val d'Isère attacca disorpresa un plotone di alpini italiani al passo della Galisia, nell'alta valle dell'Orco. Respinti, i francesi ripiegano sul rifugio situate Priarond che viene però colpito dai mortai da 81 e sgomberato.

Durante una scaramuccia a Punta Maurin una nostra pattuglia è fatta prigioniera. Lo stesso giorno, e poi l'indomani, la Regia Aeronautica bombarda Biserta, Tolone, l'aeroporto di Fayance e compie incursioni lungo la Costa Azzurra, ma la prima vera azione di guerra è ancora francese. Nella serata del 14 giugno, verso le 21, una squadra di quattro incrociatori, Foch, Algérie, Colbert, Dupleix esce dal porto di Tolone, scortata  da undici cacciatorpediniere e cinque sommergibili, dirigendo sulle coste liguri. All'alba del 15 il Foch e l'Algérie bombardano i depositi di carburante della Monteponi a Vado, causando anche nove morti e 36 feriti; il Colbert e il Dupleix si spingono più a est e colpiscono, però con scarissimi risultati, gli impianti della zona industriale di Genova. A llargo di Vado gli incrociatori francesi vengono affrontati da una vecchia torpediniera al comando del tenente di vascello Giuseppe Brignole, la Calatafimi che lancia i suoi siluri da 3000 metri fallendo i bersagli (ma la nave italiana è così malandata, che uno dei siluri rimane nel tubo di lancio, mezzo dentro e mezzo fuori). Quando poi il caccia francese Albatros è colpito dalle batterie costiere di Genova, la formazione decide di interrompere il contatto e ritirarsi a Tolone. Vano l'inseguimento da parte dello stormo aereo di Pisa, nel quale vola già Galeazzo Ciano: degli attaccanti nessuna traccia. Con l'annuncio della guerra il mondo si attendeva che la prima mossa dell'Italia avvenisse sullo scacchiere dell'Africa Settentrionale con un blitz contro Suez: gli uomini di Italo Balbo 220.000 fra nazionali e coloniali -hanno di fronte l'esiguo esercito del generale Wavel che dispone di 40.000 inglesi, 15.000 indiani e 8500 neozelandesi, perché non è da credere che i 50.000 egiziani arruolati a tambur battente siano davvero disposti a combattere. Tuttavia sono i britannici i primi a passare all'azione, poche ore dopo lo scoppio del conflitto, con l' 11° Ussari che, impiegando autoblindo e speciali automezzi adatti alle scorribande nel deserto, attraversa ripetutamente le nostre linee difensive annientando il presidio di Sidi Omar e le ridotte Capuzzo e Maddalena. Una colonna raggiunge anche la Balbia -la strada litoranea alla quale, sul metro degli antichi romani, il quadrunviro di Ferrara ha voluto dare il proprio nome -e distrugge un'autocolonna catturando il generale del Genio Lastrucci che, a bordo della propria vettura, ha il piano d'operazione per la difesa di Bardia. In Africa Orientale il viceré d'Etiopia, il duca Amedeo di Aosta, che ha l 260.000 uomini più 6.000 ufficiali, già il 12 giugno 1940 si impadronisce di Moyale, in Sudan, occupa Kurmuk, Gallabat e Kassala mentre nella Somalia inglese costringe i britannici a ritirarsi. li Commenterà in seguito Churchill: «Fu la nostra unica sconfitta a opera degli italianì». È questo il quadro delle operazioni di guerra italiane nei primissimi giorni del conflitto: fermi sulle Alpi in attesa di chissà che cosa, obbligati alla difensiva in Africa Settentrionale più dall'audacia che dalla forza avversaria e I all'attacco in Etiopia.

Ma i successi in Kenya e Sudan si riveleranno apparenti. Tirando le somme di questi primi an-ni della guerra italiana risultano, in passivo, la mancata conquista di Malta, cuore strategico del «Mare nostrum», e la perdita di 212 navi da trasporto per oltre un milione e 200.000 tonnellate di stazza, bloccate fuori del Mediterraneo e che, prima o poi, cadranno in mano inglese. Nessuno, a Roma, ha pensato che tutto questo naviglio (un terzo della nostra flotta mercantile!) è Quasi esclusivamente formato da navi di categoria oceanica, quindi adattissime per i convogli di rifornimento all'Africa, e che prima di entrare nel conflitto si doveva farlo avvicinare tempestivamente alla madrepatria. La verità è quella ormai risaputa. La guerra è stata improvvisata da un Mussolini abbagliato dai successi tedeschi, timoroso di non arrivare in tempo a sedersi al tavolo del vincitore e che conta su una rapidissima e vantaggiosa conclusione delle ostilità: come dirà in seguito Churchill con sferzante sarcasmo è un Mussolini «sciacallo» che «viene a far capriole al fianco della tigre tedesca con latrati non solo di appetito, il che si può comprendere, ma anche di trionfo». Il 14 giugno, quale rappresaglia al bombardamento navale di Vado e di Genova, il duce ordina di attuare al più presto «piccole operazioni offensive» sulle Alpi per impadronirsi di posizioni oltre confine. L'indomani la 4a Armata prepara l'occupazione della testata del torrente Guil, nel settore Germanasca Pellice, ma lo stesso giorno, seccato perché Hitler rifiuta un concorso di truppe italiane nell'offensiva tedesca nel nord della Francia, Mussolini pretende da Badoglio per il 18 giugno, cioè nel giro di 48 ore o poco più, un attacco generale su tutto il fronte delle Alpi, dal Bianco al mare. Ma alla vigilia del «giorno X», lunedì 17, Hitler fa sapere che la Francia è pronta a discutere un armistizio e invita Mussolini a Monaco per colloqui. Il duce, convinto che la Francia capitolando davanti a Hitler si arrenderà automaticamente anche a lui, che di Hitler è alleato prepara ùna serie di richieste esose e immeritate: occupazione fino al Rodano, della Corsica, della Tunisia, di Gibuti, di Algeri, di Orano e di Casablanca, oltre alla consegna delle flotte marittima e aerea. il Fuhrer approva sconsigliando solo quella riguardante le navi perché c'è rischio che la flotta si autoaffondi o passi agli inglesi. Hitler, però, non intende mettere sullo stesso piano Germania e Italia dinanzi alla Francia sconfitta (anche perché ha già qualche progetto relativo a questo paese) e stabilisce che gli armistizi siano due e con trattative e cerimonie separate, pur assicurando che l'armistizio del Reich con i francesi entrerà in vigore solo quando sarà stato firmato quello con l'Italia Tornando da Monaco scornato, Mussolini si rende conto, forse, di quanto assurdo e mortificante possa essere trattare l'armistizio di una guerra dichiarata, sì, ma nori combattuta (oltretutto, può essere anche un cavillo di diritto internazionale per la Francia). Appena a Roma, quindi, convoca Badoglio, lo informa che il capo dell'OKW, Keitel, gli ha detto di essere pronto ad appoggiare le nostre operazioni su Chambéry e Grenoble e, pertanto, giovedì 20 giugno la 4a Armata e venerdì 21 la1a dovranno passare all'offensiva. Così, sotto nevicate, piogge battenti e temperatura costantemente sotto zero, proprio nel giorno in cui, a Compiègne, laFranciafirma l'armistizio con la Germania, scateniamo una di quelle battaglie frontali tanto deprecate durante la grande guerra e contro forze nemiche rimaste intatte al riparo delle fortificazioni della Maginot alpina: il bilancio finale è che, in media, saranno penetrati di un chilometro nel territorio francese. «Non è stata una guerra ma uno scontro di pattuglia» scriveràGoebbels nel suo diario. Ma a questo punto la Francia si arrende anche a noi; per il vero lo aveva Pà. chiesto una settimana prima, il 17 pugno, attraverso il Nunzio apostolico nonsignor Valeri, e Mussolini aveva sdegnosamente rifiutato il tramite del Vaticano. La delegazione francese, guilata dall'ambasciatore Noel, dal generale Huntziger e della quale fa parte anche Parisot, arriva a Ciampino -su aerei militari tedeschi -alle 15 di donenica 23 giugno e alle 19 è a Villa Inncisa all'Olgiata, sulla Cassia. Noi andiamo a queste trattative con un pesante bilancio di perdite: 631 morti, 2631 feriti e congedati:e 616 dispersi (un'altra cifra tenuta gelosamente segreta a Mussolini è quella dei prigionieri: 1141). I francesi hanno subito perdite assai meno rilevanti: 37 morti, 150 dispersi e 42 feriti. La nostra delegazione -formata da Ciano, Badoglio, Pricolo e Roatta -illustra le condizioni per il cessate il fuoco, che risultano molto ridimensionate rispetto alle originali pretese perché, in un messaggio a Hitler il giorno prima Mussolini aveva detto che «... Allo scopo di facilitare l'accettazione dell'armistizio da parte dei francesi, non ho in· cluso [...] l'occupazione della sponda si· nistra del Rodano, della Corsica, di 'fu. nisi e di Gibuti, come ci eravamo propo· sti a Monaco. Mi sono limitato a un minimo, una zona smilitarizzata di cin quanta chilometri [...].

Per il resto mi sono basato sulle clausole dell'armistizio tedesco». Ma, qui, vale la pena di notare che Mussolini avrebbe potuto tener conto del punto di vista di quei militari previdenti che gli suggerivano di chiedere la libertà di transito per Biserta e Tunisi di truppe e rifornimenti destinati alla Libia; questa concessione avrebbe enormemente facilitato le fu· ture operazioni in Mrica Settentrionale. La delegazione francese, a sentire le richieste italiane, prova «un immenso sollievo». La discussione, aggiornata per poter informare i rispettivi governi, si conclude l'indomani con la firma del· l'armistizio e le ostilità cessano, uffi· cialmente, alle ore-1.35 di martedì 25 giugno: «Tra sei ore non si sparerà più» scrive Ciano nel Diario ([...]Oggi a Costantinopoli tutte le navi mercantili francesi hanno alzato bandiera inglese. La guerra non è ancora finita, anzi comincia adesso. Avremo tante sorprese da levarcene lavoglia». E la prima sorpresa è tragica, arriva dalla Libia: è morto Italo Balbo. La sciagura è avvenuta nel pomeriggio di venerdì 28 giugno, alle 17.30. Il maresciallo era partito da Derna, diretto alla base di Sidi Azeis, a bordo di un trimotore 8.79 che pilotava personalmente e sul quale avevano preso posto, fra gli altri, suo nipote Lino Balbo, federale di Ferrara, e il direttore del Corriere Padano, Nello Quilici. L'aereo era giunto nel cielo di Tobruk mentre una formazione inglese stava bombardano do da alta quota l'aeroporto. Da terra il fuoco della contraerea era violentissimo e un colpo di mitragliera da 20, esploso dall'incrociatore San Giorgio, aveva centrato e abbattuto il trimotore di Italo Balbo. Mussolini apprende la notizia della sciagura mentre è a Torino, in visita alle varn piemontesi dove si è combattutra la brevissima guerra contro la Francia. Non si commuove, chiede a Badoglio chi potrà sostituire Balbo e la scelta cade sull'ex poliziotto della Libia, Rodolfo Graziani
Balbo? dirà più tardi il duce, nei mesi della crepuscolare repubblica di Salò: (Un bell'alpino, un grande aviatore, un autentico rivoluzioriario. Il solo che sarebbe stato capace di uccidermi»).
In Italia corre voce che l'incidente aviatorio celi un delitto politico, una vendetta di Mussolini; si dice che Balbo è stato abbattuto per impedirgli di volare dagli inglesi a trattare la pace, anche perché ora la vedova, contessa FIorio, va in giro raccontando -secondo un rapporto al capo della polizia, Bocchini -che «Italo non voleva la guerra, si era sempre opposto perché diceva che non eravamo preparati». La verità è proprio questa, che non siamo prepara· ti, ma Mussolini, continuando a inseguire i suoi sogni di gloria militare, non tarderà a trascinare l1talia ancor più giù, verso il fondo del baratro.giro raccontando -secondo un rapporto al capo della polizia, Bocchini -che «Italo non voleva la guerra, si era sempre opposto perché diceva che non eravamo preparati». La verità è proprio questa, che non siamo prepara· ti, ma Mussolini, continuando a inseguire i suoi sogni di gloria militare, non tarderà a trascinare Italia ancor più giù, verso il fondo del baratro.

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