Quando penso ai Ciano mi viene in mente l'Edda, sempre più sola. Marzio se n'è andato ancora giovane; Fabrizio il più grande dei figli, fuggì in Venezuela; Dindina, dopo un matri· monio sbagliato, si mise col vedovo della zia, Nando Pucci, presentatore nei locali notturni. Romano va in giro a dare concerti di jazz, non sta più con Maria Scicolone. L'Edda è chiusa,silenziosa lontana. Il tempo ha ancora di più sottolineato la somiglianza col duce: la mascella quadrata dei romagnoli, lo sguardo fisso, di chi insegue con insistenza lo stesso pensiero. Qualcuno l'ha definita «la donna più in gamba tra quelle venute al mondo dal sangue di Mussolini». Galeazzo diceva: «E una donna che non dà peso ai dolori, alle sofferenze, eva purtroppo incontro al futuro con una specie di fatalismo». Se fa un bilancio,è un disastro. Non credo che vorrebbe rivivere le sue esperienze. Le è sempre toccata la parte, e la fatica, del più forte. E nata nella miseria: il giornalista socialista lottava, allora, per conquistare il partito e per arrivare alla fine del mese, Rachele faceva i conti coi venditori dei mercati. Poi, la stagione buona la mandarono a studiare in un collegio per nobili fanciulle, imparò le lingue e i modi degli aristocratici, si preparò alle regole dei salotti, alle chiacchiere dei circoli del golf, alle usanze delle ambasciate.
C'è una fotografia che la ritrae il giorno delle nozze, col velo bianco e il lungo strascico, e Galeazzo, in tight, coi capelli lucidi di brillantina, come Meazza, come Nuto Navarrini,esi accomiatano dagli invitati in cilindro col saluto romano. Di quel matrimonio s'è poi parlato tanto,e si son fatti molti pettegolezzi, che ritengo spesso ingiusti o maliziosi la loro unione è stata ragionevolmente felice. In un libro di Orio Vergani, che fu il compagno della giovinezza (Ciano: una lunga confessione, Longanesi), si legge questa confidenza: «E la sola donna a cui ho voluto veramente bene, ed è la mia sola arnica». Edda conosce le debolezze di quel giovanotto cresciuto col rigore di una mentalità militare: l'ammiraglio Costanzo sperava di farne un avvocato, ma poi, deluso dalle scarse attitudini, si rassegnò: «Darai il concorso in diplomazia». Arrivò nonostante il nome che portava, al ventesimo posto. Galeazzo si dimostrava insicuro, suggestionabile, vanitoso, indifferente. Gli sarebbe piaciuto lavorare in un quotidiano, ma Vergani ricorda che aveva poco talento. Scrisse un atto unico che cadde alla prima recita, ed esercitò la critica teatrale, ma senza imporsi. A trentatré anni, Galeazzo Ciano èministro degli Esteri, ed è un devoto esecutore degli ordini: «Quando ho sentito la uoce di Mussolini» dice a Vergani «mi son messo a piangere». La suggestione funziona, poi subentra il distacco, e il giudizio. Da Hitler, a esempio, non si lascia incantare: «Quello non è un uomo, è un pazzo»; pensa addirittura, a un certo momento, di rovesciare il patto con la Germania, di passare con gli alleati. Un tradizionale giro di valzer. Le sue crisi ,la visione amara del fascismo, si sviluppano a poco a poco. Scopre che Mussolini non è quel bonaccione che i camerati esaltano, e che non avrebbe preoccupazioni se dovesse far mitragliare un corteo di operai. Vede i lati comici del regime: la zuppa inglese che non cambia ricetta, ma nome, e diventa «Impero», la lotta greco-romana, che dopo l'attacco, per dei precedenti ateniesi. Si accorge che «Mussolini è legato alla sua ambizione di potere», e che non si rende conto delmale che lo circonda, della tragedia che incalza. Galeazzo si lascia andare a un modo di vivere apparente mente fatuo e rassegnato: i bagni turchi, per paura di ingrassare, gli incontri galanti sui campi dell' Acquacetosa (Edda, i· ronica, lo chiama per il suo libertinaggio «Gallo»), dove ano che durante le restrizioni i camerieri in guanti bianchi servono ai soci caffè, bistecche e sigarette americane, fa dipingere il suo ritratto a De Chirico, ma commenta sconsolato: «Se continuo così,verrò impiccato prima che il quadro siafinito». Lui era contrario al noto intervento: fece anzi avere al duce un rapporto dal quale risultava l'assoluta impreparazione delle forze mmàte, pochi fogli battuti da una macchina per scrivere dai caratteri grandissimi (anche questa serie si chiamava «Impero»), perché il capo del governo era sempre più presbite ma, per non offuscare la con ueta e acclamata immagine virile, non voleva farsi vedere con gli occhiali. Ciano è contrario, ma non si tira fuori, si limita a mormorare, assiste senza reagire alla corsa verso la sconfitta: come il re, come gran parte del popolo. E anche superstizioso,.e crede nel destino: «Ho avuto tanto dalla vita» dice «che un conto lo debbo saldare. Non voglio che i miei bambini siano figli di uno che non ha pagato di persona la sua parte di responsabilità, come meglio ha potuto».
Ha qualche rimpianto: gli piacerebbe ritirarsi nella casa di Ponte a Moriano, con dei libri, ma capisce che non potrà mai tornare indietro, che non può fare più nulla. La macchina che ha contribuito, anche con le sue indecisioni, a mettere in moto, non si ferma, sente addosso il peso della disfatta: «Mussolini ha comandato tre guerre, ma non sa cosa siano gli occhi dei morti». Nelle lucide, appassionanti pagine di Vergani c'è ilclima di un mondo che, per certi aspetti, ha riflessi attuali: induce a meditare sulla parte che ognuno di noi ha nell'angoscia enell'incertezza di tutti, sui nostri silenzi, e anche sull'impotenza dell'individuo condannato a vivere in quelle tristi epoche che si chiamano storiche: «Anche se mi ammazzassero» dice Galeazzo «quello che deve accadere accadrà». Va calmo econ dignità davanti al terrapieno dopo lo aspetta la guardia repubblicana, indossa il soprabito grigio, il «bel capo» che gli ha confezionato un famoso sarto di Roma, e si volta indietro a guardare i militi col fucile imbracciato, e la sua insistenza è contraddittoria e crudele. L'ultima istantanea lo coglie così.
C'è una fotografia che la ritrae il giorno delle nozze, col velo bianco e il lungo strascico, e Galeazzo, in tight, coi capelli lucidi di brillantina, come Meazza, come Nuto Navarrini,esi accomiatano dagli invitati in cilindro col saluto romano. Di quel matrimonio s'è poi parlato tanto,e si son fatti molti pettegolezzi, che ritengo spesso ingiusti o maliziosi la loro unione è stata ragionevolmente felice. In un libro di Orio Vergani, che fu il compagno della giovinezza (Ciano: una lunga confessione, Longanesi), si legge questa confidenza: «E la sola donna a cui ho voluto veramente bene, ed è la mia sola arnica». Edda conosce le debolezze di quel giovanotto cresciuto col rigore di una mentalità militare: l'ammiraglio Costanzo sperava di farne un avvocato, ma poi, deluso dalle scarse attitudini, si rassegnò: «Darai il concorso in diplomazia». Arrivò nonostante il nome che portava, al ventesimo posto. Galeazzo si dimostrava insicuro, suggestionabile, vanitoso, indifferente. Gli sarebbe piaciuto lavorare in un quotidiano, ma Vergani ricorda che aveva poco talento. Scrisse un atto unico che cadde alla prima recita, ed esercitò la critica teatrale, ma senza imporsi. A trentatré anni, Galeazzo Ciano èministro degli Esteri, ed è un devoto esecutore degli ordini: «Quando ho sentito la uoce di Mussolini» dice a Vergani «mi son messo a piangere». La suggestione funziona, poi subentra il distacco, e il giudizio. Da Hitler, a esempio, non si lascia incantare: «Quello non è un uomo, è un pazzo»; pensa addirittura, a un certo momento, di rovesciare il patto con la Germania, di passare con gli alleati. Un tradizionale giro di valzer. Le sue crisi ,la visione amara del fascismo, si sviluppano a poco a poco. Scopre che Mussolini non è quel bonaccione che i camerati esaltano, e che non avrebbe preoccupazioni se dovesse far mitragliare un corteo di operai. Vede i lati comici del regime: la zuppa inglese che non cambia ricetta, ma nome, e diventa «Impero», la lotta greco-romana, che dopo l'attacco, per dei precedenti ateniesi. Si accorge che «Mussolini è legato alla sua ambizione di potere», e che non si rende conto delmale che lo circonda, della tragedia che incalza. Galeazzo si lascia andare a un modo di vivere apparente mente fatuo e rassegnato: i bagni turchi, per paura di ingrassare, gli incontri galanti sui campi dell' Acquacetosa (Edda, i· ronica, lo chiama per il suo libertinaggio «Gallo»), dove ano che durante le restrizioni i camerieri in guanti bianchi servono ai soci caffè, bistecche e sigarette americane, fa dipingere il suo ritratto a De Chirico, ma commenta sconsolato: «Se continuo così,verrò impiccato prima che il quadro siafinito». Lui era contrario al noto intervento: fece anzi avere al duce un rapporto dal quale risultava l'assoluta impreparazione delle forze mmàte, pochi fogli battuti da una macchina per scrivere dai caratteri grandissimi (anche questa serie si chiamava «Impero»), perché il capo del governo era sempre più presbite ma, per non offuscare la con ueta e acclamata immagine virile, non voleva farsi vedere con gli occhiali. Ciano è contrario, ma non si tira fuori, si limita a mormorare, assiste senza reagire alla corsa verso la sconfitta: come il re, come gran parte del popolo. E anche superstizioso,.e crede nel destino: «Ho avuto tanto dalla vita» dice «che un conto lo debbo saldare. Non voglio che i miei bambini siano figli di uno che non ha pagato di persona la sua parte di responsabilità, come meglio ha potuto».
Costanzo Ciano |
ENZO BIAGI
Trovo semplicistico etichettate i buoni da un lato e i cattivi dall'altro, è proprio leggendo questo scritto di Biagi, che certamente non possiamo definire "fascista", che dovremmo capire che le scelte fatte in un particolare e ingarbugliato periodo storico-politico, possono non essere sempre quelle giuste e talvolta, magari, anche sofferte...
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