Luogo: Golfo della Sirte, Mediterraneo Centrale.
Eserciti contro: flotte Italiana e Inglese. Contesto: Seconda guerra mondiale.
Protagonisti: Ammiraglio di Squadra Angelo Iachino, Comandante in Capo della Squadra da battaglia italiana; Ammiraglio sir Andrew Cunningham, Comandante in Capo della Mediterranean Fleet; Ammiraglio di Divisione Carlo Bergamini; Contrammiraglio Philip Luis Vian; Contrammiraglio Angelo Parona, Comandante della 3a divisione di incrociatori pesanti; Contrammiraglio Nomis di Pollone; Capitano di Vascello Rory O'Connor, Comandante dell'incrociatore leggero Neptune; Capitano di Vascello Nicholl, Comandante dell'incrociatore leggero Penelope.
Se la vittoria a Capo Matapan del 28-29 marzo 1941 costituì un autentico trionfo per la Royal Navy, proprio da quella battaglia la supremazia britannica nel Mediterraneo andò rapidamente incrinandosi. L'irrompere in Macedonia della Wermach il 6 aprile sbaragliò rapidamente la resistenza greca - già stremata da sei mesi di guerra contro l'Italia - costringendo il contingente britannico ad evacuare completamente la penisola ellenica entro il 28 dello stesso mese, con la perdita di tre navi mercantili, due cacciatorpediniere, 209 veivoli e poco più di 7.000 uomini. Fra il 20 maggio ed il 1° giugno la base aeronavale di Creta venne occupata con una mirabile azione da parte di truppe aerotrasportate tedesche: le perdite riportate dai britannici ammontarono a tre incrociatori, sei cacciatorpediniere, più di 200.000 tonnellate di naviglio mercantile, 46 veivoli e 15.405 uomini fra morti, dispersi e prigionieri. Inoltre furono gravemente danneggiate le corazzate Warspite, Barham e la portaerei Formidable. Di questo vantaggio l'Ammiragliato italiano non seppe però approfittare: dopo la bruciante esperienza di Capo Matapan, Supermarina - il Comando Supremo della Marina italiana - non acconsentì infatti ad azioni notturne della propria squadra da battaglia, e neppure ad uscite diurne dai porti senza una sicura protezione aerea. Con questi provvedimenti si limitò per circa sei mesi la capacità operativa della Marina italiana, che d'altronde poteva disporre nuovamente delle corazzate Littorio e Duilio, danneggiate durante l'attacco a Taranto e poi rimesse in efficienza. La situazione cominciò a mutare a partire dall'autunno, con l'arrivo nel Mediterraneo dei sommergibili tedeschi - gli U-Boote - che non tardarono a dar prova della loro efficacia: il 13 ottobre al largo di Gibilterra l'U81 - comandato dal Tenente di Vascello Fritz von Guggenbberg - colò a picco la portaerei Ark Royal, l'unica su cui gli inglesi potessero contare nel Mediterraneo; il 25 novembre la corazzata Barham esplose nelle acque fra Creta a la Cirenaica dopo essere stata silurata dall'U331 - agli ordini del Tenente di Vascello Hans Dietritch von Tiesenhausen. La Mediterranean Fleet si ritrovò così ridotta a due sole corazzate e priva di copertura aerea diretta: un'uscita in queste condizioni avrebbe potuto rivelarsi pericolosa, dato che sarebbe stato difficoltoso rimpiazzare le unità eventualmente perdute. Per giunta, la Royal Navy si vide costretta a rafforzare il presidio di Malta, la spina britannica conficcata nel fianco debole del Mediterraneo. In novembre il 62% dei carichi e il 92% dei combustibili inviati all'armata del generale Erwin Rommel - vittoriosa in Nordafrica fin da aprile - venne distrutto dai velivoli britannici dislocati nelle Isole Maltesi: per l'Ammiragliato britannico rifornire questo strategico arcipelago di armamenti, viveri, e combustibile significava proteggere l'Egitto e il Mediterraneo Orientale. Sia per gli inglesi come per gli italiani, i convogli marittimi e la loro difesa divennero perciò un elemento di fondamentale importanza per la prosecuzione della guerra. A metà dicembre 1941 Supermarina decise di organizzare un trasporto marittimo per rifornire le truppe italo-tedesche impegnate in Nordafrica. Delle otto navi inizialmente designate per la traversata, solamente i mercantili Pisani, Monginevro, Napoli e il tedesco Ankara poterono essere impiegati nell'operazione, riducendo a 15.000 tonnellate il carico costituito da benzina, lubrificanti, carri armati e automezzi vari. Per scortare il prezioso convoglio vennero mobilitate cinque corazzate, altrettanti incrociatori e 22 cacciatorpediniere: praticamente tutte le navi da guerra disponibili. Questa era stata fino ad allora la tattica impiegata dall'Ammiragliato britannico per la difesa dei convogli nel Mediterraneo, ed aveva garantito una certa sicurezza durante le traversate: ma l'alto consumo di combustibile - perfettamente sostenibile dalla Royal Navy - avrebbe pesato notevolmente sulle già scarse riserve italiane. Il 14 dicembre la Vittorio Veneto venne silurata nello Ionio dal sottomarino britannico Urge, e non poté partecipare all'azione. L'operazione - denominata "M42" - venne perciò organizzata in questo modo: otto cacciatorpediniere al comando del Contrammiraglio Nomis di Pollone avrebbero scortato direttamente i mercantili, mentre un gruppo comandato dall'Ammiraglio di Divisione Carlo Bergamini e formato dalla corazzata Caio Duilio, dagli incrociatori Duca D'Aosta, Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo e da quattro cacciatorpediniere avrebbe navigato a breve distanza; la forza d'appoggio - agli ordini dell'Ammiraglio di Squadra Angelo Iachino - sarebbe stata invece formata dalle corazzate Littorio, Andrea Doria, Giulio Cesare e da sei cacciatorpediniere, mentre gli incrociatori pesanti Gorizia e Trento e quattro cacciatorpediniere - al comando del Contrammiraglio Angelo Parona - sarebbero stati distaccati in perlustrazione. Per maggior sicurezza il tratto di mare antistante Tripoli venne abbondantemente minato e sei sommergibili si posero in agguato ad Est di Malta. Nel pomeriggio del 16 dicembre, poco prima che il convoglio salpasse da Taranto, Supermarina ricevette il messaggio di un aereo tedesco, che segnalava la presenza di unità britanniche a Nord-Est di Sidi el Barrani con rotta 270°: alle 22.00 del giorno precedente una squadra costituita dagli incrociatori leggeri Naiad, Euryalus, Carlisle e da sette cacciatorpediniere era infatti salpata da Alessandria d'Egitto insieme al trasporto veloce Brenconshire, carico di 5.000 tonnellate di combustibile destinato a Malta. Il gruppo - comandato dal Contrammiraglio Philip Louis Vian - sarebbe stato raggiunto due giorni dopo nel Golfo della Sirte dagli incrociatori Aurora, Penelope e da sei cacciatorpediniere, parte della "Forza K" basata a La Valletta. Il Comandante in Capo della Mediterranean Fleet - Ammiraglio sir Andrew Cunningham - aveva precedentemente deciso di non far scortare il Breconshire dalla Queen Elizabeth e dalla Valiant, poiché non vi erano ad Alessandria cacciatorpediniere sufficienti per proteggere le due unità pesanti dagli U-Boote: proprio due giorni prima l'incrociatore Galatea era stato silurato ed affondato dall'U557 - comandato dal Tenente di Vascello Paulhsen - all'imboccatura del porto di Alessandria, provocando la morte di 350 uomini. Ma Supermarina non sapeva che il rilevamento dell'aereo tedesco fosse errato: il Breconshire era stato infatti scambiato per una corazzata. Questo fece sospettare ai comandanti italiani che dietro quella corazzata potessero navigare altre navi da battaglia, ed era ben noto quanto fosse pericoloso accompagnare un convoglio con delle corazzate nemiche in mare. Non sapevano invece che il grosso della Mediterranean Fleet era all'ancora in Egitto e ridotto a sole due unità pesanti: l'Ammiragliato italiano ignorò per molti mesi l'affondamento della Barham, poiché von Tiesenhausen riferì di aver colpito solamente un incrociatore nemico. Comunque, l'importanza della missione fece sì che le navi italiane lasciassero ugualmente Taranto, pur con molta circospezione. Il segnale dell'aereo tedesco aveva nel frattempo spinto Vian a distaccare verso il Mediterraneo Orientale il Carlisle e due cacciatorpediniere, affinché simulassero il rientro della squadra britannica ad Alessandria trasmettendo durante la notte messaggi radio, nel timore che la flotta italiana potesse minacciare il suo gruppo, già pericolosamente vicino alle coste nemiche. Timore tutt'altro che infondato, perché durante la notte il sommergibile Unbeaten - in agguato nel Golfo di Taranto - segnalò alcune unità pesanti italiane in rotta verso Sud. Appena ricevuta la comunicazione, Cunningham ordinò che da Malta salpasse il resto della "Forza K": presero immediatamente il mare l'incrociatore Neptune e due cacciatorpediniere, per dar man forte alla scorta del Breconshire. La mattina seguente le navi di Vian si incontrarono con gli incrociatori provenienti da La Valletta, ed il convoglio proseguì la navigazione verso Malta. Alle 9.00 del 17 dicembre un ricognitore tedesco segnalò una corazzata, due incrociatori ed otto caccia britannici 100 miglia a Settentrione di Bengasi diretti verso Ovest. Nuovamente il Breconshire era stato scambiato per una corazzata. Basandosi sulle informazioni in suo possesso, Iachino ipotizzò che l'uscita della squadra inglese avesse lo scopo di distruggere i mercantili italiani. Per prevenire il probabile attacco britannico l'Ammiraglio mise in allerta l'intera formazione: i cacciatorpediniere di scorta si disposero in assetto di combattimento, il gruppo di Bergamini accostò per 220° e dalle navi vennero lanciati alcuni idrovolanti perché individuassero il gruppo inglese e chiarissero così le reali forze ed intenzioni del nemico. Un ricognitore della Littorio riuscì ad avvistare poco tempo dopo il convoglio britannico, ma durante le ore in cui mantenne il contatto con la formazione nemica segnalò sempre la presenza di una corazzata. Inoltre, a partire dalle 12.15 altri aerei giunsero sulla zona: 25 aerosiluranti italiani S-79 e 50 bombardieri tedeschi JU-88 attaccarono a più riprese il gruppo inglese, senza però alcuna conseguenza. Anche questi ultimi veivoli segnalarono la presenza di una corazzata nella squadra di Vian. Stranamente, tutte le segnalazioni aeree confermavano la presenza di una nave da battaglia nel convoglio britannico. Sebbene la formazione italiana disponesse di ben tre unità pesanti, solo la Littorio sarebbe stata in grado di confrontarsi efficacemente con una corazzata inglese - sicuramente armata con cannoni da 15 pollici - e vi era inoltre la possibilità che quell'unica unità individuata venisse presto raggiunta dalle altre due corazzate della Mediterranean Fleet, cosa che avrebbe posto la squadra italiana in serie difficoltà: perciò Iachino ritenne pericoloso mettere a repentaglio l'unica valida nave da battaglia su cui la Marina italiana potesse contare in quel momento. Del resto lo stesso Ammiraglio italiano era perfettamente cosciente che il suo compito primario consisteva nel proteggere i preziosi mercantili, e non di impegnare in battaglia la formazione inglese. Decise pertanto di mantenere una condotta piuttosto prudente, in caso di contatto con il nemico. Alle 17.23 la squadra italiana avvistò le navi di Vian grazie ai bagliori del loro fuoco antiaereo: Iachino ordinò di aumentare la velocità a 24 nodi e di accostare per 130°, dritto verso il nemico. Alle 17.45 la formazione italiana virò a Sud, permettendo alle corazzate di aprire il fuoco dalla distanza di 29.000 metri, seguite subito dopo dagli incrociatori di Parona. Vian ordinò che il Breconshire accostasse verso Sud a tutta velocità, e che due cacciatorpediniere lo seguissero coprendolo con cortine fumogene: l'intento del Contrammiraglio britannico era di guadagnare il tempo necessario affinché la petroliera riuscisse ad allontanarsi, dato che il sole era già tramontato e le tenebre avrebbero costretto le navi italiane - prive di radar - ad interrompere il combattimento. I cacciatorpediniere inglesi si lanciarono a tutta velocità contro la formazione italiana, sparando con l'artiglieria e preparandosi a sganciare i loro siluri. I cacciatorpediniere italiani partirono allora al contrattacco illuminando la zona con proietti traccianti. Alle 17.57 i cacciatorpediniere britannici invertirono la rotta e ripiegarono insieme agli incrociatori verso Est, accostando poco dopo a Settentrione per distrarre il nemico dal Breconshire. Le navi italiane cessarono il fuoco alle 18.04 e si diressero verso Sud-Ovest. Nessuno dei contendenti aveva subito danni durante il breve cannoneggiamento, a parte alcune schegge di un proietto da 203 millimetri italiano che avevano raggiunto il cacciatorpediniere Kipling uccidendo un marinaio britannico. Durante la notte Iachino dispose una cintura di protezione attorno ai quattro mercantili per difenderli da eventuali attacchi. Misura adeguata, dato che gli incrociatori britannici poterono individuare grazie ai loro radar il convoglio italiano e avvicinarglisi celati dalle tenebre: sfruttando il vantaggio del combattimento notturno - al quale la Marina italiana era impreparata - Vian avrebbe potuto attaccare con successo la formazione nemica. Invece, pur conoscendo l'importanza del convoglio italiano, invertì la rotta dirigendosi verso Alessandria: probabilmente desistette dall'attaccare per la vigilanza delle corazzate italiane, al fine di evitare nuove perdite per la Royal Navy, negli ultimi tempi già duramente colpita. Decisione che venne tuttavia criticata da Cunningham e che fu in seguito oggetto di aspre polemiche presso l'Ammiragliato inglese. Il Breconshire riuscì a raggiungere sano e salvo Malta il 18 dicembre, come i mercantili Pisani, Monginevro e Napoli, che arrivarono incolumi a Tripoli in quello stesso pomeriggio. Poco prima alcuni bombardieri britannici avevano lanciato varie mine magnetiche all'imboccatura della rada, senza però conseguenze, poiché i dragamine del porto avevano prontamente rimosso gli insidiosi ordigni. Dato che i ricognitori decollati da Malta la sera della battaglia avevano avvistato la squadra italiana ancora in navigazione nel Golfo della Sirte, l'Ammiragliato britannico decise di inviare gli incrociatori Neptune, Aurora, Penelope ed i cacciatorpediniere Kandahar, Lance, Lively e Havock in quelle acque per tentare di sorprendere il convoglio nemico. Terminato velocemente il rifornimento a La Valletta, la "Forza K" - agli ordini del Capitano di Vascello Rory O'Connor, comandante del Neptune - prese il mare nel tardo pomeriggio dirigendosi verso Sud-Ovest. Poco dopo la mezzanotte, 20 miglia ad Est di Tripoli, la formazione britannica incappò in un campo minato italiano: un paramine del Neptune urtò accidentalmente un ordigno sommerso, che detonò provocando l'allarme sulle navi inglesi. L'incrociatore tentò di uscire dal campo minato manovrando con le macchine indietro, ma investì un'altra mina che distrusse eliche e timone lasciando l'unità alla deriva. Stessa sorte toccò all'Aurora ed al Penelope, che navigavano rispettivamente a dritta ed a sinistra del Neptune: la prima, con un centinaio di morti a bordo e avarie molto gravi, invertì la rotta e si trascinò faticosamente verso Malta; la seconda, solo lievemente danneggiata, uscì dal campo minato e si preparò a rimorchiare il Neptune. Le onde e il vento erano però assai forti, così il Neptune, trascinato dalla corrente, urtò una terza mina. Il Kandahar tentò di avvicinarsi per trarlo fuori dalla pericolosa situazione, ma una l'esplosione di una mina gli asportò l'intera poppa provocando 73 morti. Ora due navi andavano alla deriva, senza che le altre unità britanniche potessero soccorrerle. Alle 4.00 del 19 dicembre il Neptune urtò una quarta mina: cinque minuti dopo l'incrociatore scese negli abissi lasciando il mare cosparso di zattere e naufraghi. Il comandante del Penelope - Capitano di Vascello Nicholl - non poté prestare soccorso al Kandahar e ai superstiti del Neptune: la costa libica era distante solamente 20 miglia, e con l'alba sarebbero arrivati gli aerei italiani. Diresse pertanto le unità superstiti verso Malta lasciando centinaia di marinai in acqua. Il Kandahar rimase alla deriva per tutta la giornata, senza però essere attaccato dall'aviazione nemica. La notte seguente il cacciatorpediniere Jaguar lasciò La Valletta per cercare di recuperare la nave danneggiata, che vento ed onde avevano nel frattempo sospinto fuori dal campo minato. Alle 4.00 del 20 dicembre il Kandahar venne localizzato, ma la mareggiata ne impedì l'affiancamento: comunque, il Jaguar si mantenne a distanza ravvicinata dal relitto semiaffondato, permettendo a 165 superstiti di raggiungere a nuoto il cacciatorpediniere. La Vigilia di Natale la torpediniera italiana Papa - in navigazione nel Golfo della Sirte - avvistò un relitto: a bordo vi era l'unico sopravvissuto del Neptune. Più di 700 uomini erano morti di fame, di sete, di sfinimento, trascinati dalle correnti o divorati dagli squali, a poche miglia dalla costa africana. In sé stessa la prima battaglia della Sirte fu soltanto una scaramuccia senza conseguenze, a causa del sostanziale disimpegno dei contendenti, dato che la scorta dei rispettivi navigli mercantili aveva la precedenza su qualsiasi altro obiettivo delle due opposte missioni. Comunque, entrambi gli schieramenti avevano raggiunto il loro obiettivo: l'Ammiragliato inglese quello di rifornire Malta permettendo così alla piazzaforte mediterranea di mantenere la sua efficienza operativa; Supermarina quello di rompere il blocco navale che impediva il rifornimento dell'Africakorps, insaziabile divoratore di risorse belliche: il Mediterraneo Centrale non era affatto inviolabile per le navi italiane. Probabilmente, se Iachino avesse saputo per tempo delle errate segnalazioni aeree, e quindi dell'assenza di una corazzata nel gruppo inglese, avrebbe potuto intercettare il convoglio nemico con sufficienti ore di luce e causargli serie difficoltà. Infatti, Vian poté districarsi dalla rischiosa situazione sfruttando il vantaggio della manovra notturna, resa possibile dal radar, di cui era priva la squadra italiana. Al contrario, la mancanza di portaerei si rivelò una grave carenza, che privò la formazione britannica della necessaria copertura aerea di cui fino ad allora le operazioni della Royal Navy si erano avvantaggiate. Tuttavia, di questo "vuoto" aereo Iachino non approfittò, sia per carenze d'informazione, sia per ragioni di prudenza - forse eccessiva, come si disse in seguito. L'esito positivo della missione fu accolto con sollievo presso l'Ammiragliato italiano, che vide dissolversi l'incubo dei convogli diretti in Libia. Certamente sarebbe stato esaltante per Supermarina conoscere il disastro della "Forza K" nei campi minati di Tripoli, ma addirittura strepitoso se avesse potuto apprendere l'esito di un'operazione di poco posteriore, una delle più audaci di tutta la seconda guerra mondiale: il 19 dicembre quattro ufficiali italiani della X MAS, a bordo di due SLC - Siluri a Lenta Corsa, familiarmente chiamati "Maiali" - forzarono il porto di Alessandria e riuscirono ad affondare le corazzate Queen Elizabeth e Valiant, lasciando la Mediterranean Fleet priva di unità pesanti. L'esito della guerra nel Mediterraneo venne riposto bruscamente in gioco.
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