Amedeo d’Aosta |
Troppo distante dalla madrepatria per essere rifornita costantemente la nuova colonia italiana fu considerata da molti membri del Partito fascista una fastidiosa appendice che avrebbe dovuto provvedere autonomamente al proprio sostentamento nel caso di una guerra che ormai era sempre più prossima. Questa si mostrerà , purtroppo, solo una mera illusione che, come spesso accadrà alle nostre truppe combattenti, verrà pagata ad un prezzo altissimo. Già nel 1939 il nuovo vicerè d’Etiopia, il duca Amedeo d’Aosta, inviò a Roma un dettagliato piano organizzativo per raggiungere la tanto agognata autosufficienza: costo dell’intera operazione 4.8 miliardi di Lire che ovviamente non furono concessi. Solo nell’Aprile del 1940 vennero stanziati 900 milioni che rappresentarono ben poca cosa di fronte alle esigenze dell’intera colonia. Per meglio comprendere la situazione ecco le carenze maggiori:
- Mobilità delle truppe: dovuta sia allo scarso numero di autocarri, sia alla quantità di gomme disponibili. Vista la grave crisi si ipotizzò una durata delle scorte per appena due mesi.
- Carburante: salvo eventuali perdite a vantaggio del nemico si calcolò che le scorte fossero sufficienti per circa sei mesi
-Munizioni: erano circa la metà del quantitativo necessario quelle per le armi leggere mentre mancavano totalmente le armi contraeree e controcarro. Solo nel 1941 furono consegnati 4000 colpi per la contraerea.
La consistenza delle nostre truppe fu senz’altro notevole, almeno da un punto di vista numerico: allo scoppio della guerra, il 10 Giugno 1940, l’esercito italiano potè contare nelle proprie fila oltre 90 mila uomini delle truppe nazionali e circa 200 mila coloniali anche se alcune fonti sostengono che tale cifra sia di poco superiore alle 100 mila unità. Il complesso fu strutturato in:
- 23 brigate;
- 94 battaglioni;
- 16 squadroni di cavalleria;
L’organizzazione di queste truppe fu però adattata alle esigenze della colonia che ovviamente erano differenti rispetto a quelle della madrepatria: due sole divisioni di fanteria poterono essere equiparate a quelle in servizio nel nostro paese, tant’è che la base dell’intera struttura militare fu affidata ad unità più agili e numericamente inferiori come i battaglioni e le brigate, composte da un numero vario di battaglioni.
Le armi corazzate erano quasi inesistenti: furono disponibili 24 carri medi da 11 tonnellate e 35 carri leggeri da appena 5 tonnellate. L’ aviazione è suddivisa in otto gruppi e cinque squadriglie per un totale di 300 apparecchi di cui il 30% è da considerarsi in condizioni miserevoli. Si possono inoltre contare 5300 autocarri, 2300 autovetture e 307 motociclette. Nelle acque del Mar Rosso e dell’ Oceano Indiano, infine, sono presenti 8 sottomarini, 4 dei quali furono affondati nelle prime settimane, e 20 navi. Nonostante il numero sia tutt’altro che disprezzabile la modernità dei mezzi lascia molto a desiderare.
Per meglio comprendere gli eventi della campagna appare opportuno delineare la linea di comando militare della nostra colonia:
- Supremazia civile e militare: duca Amedeo d’Aosta;
- Scacchiere operativo Nord: gen. Luigi Frusci;
- Scacchiere operativo Sud: gen. Pietro Gazzera;
- Scacchiere operativo Est: gen. Guglielmo Nasi;
- Scacchiere Giuba: gen. Gustavo Pesanti;
A questi andarono ad affiancarsi i generali Bertoldi, De Simone e Scala mentre il comando della Marina fu affidato dell’ammiraglio Carlo Balsamo. Pietro Pinna fu infine il comandante superiore dell’Aeronautica. L’esercito inglese può contare su un numero di uomini decisamente inferiore al nostro:
- 25.000 uomini dislocati nel Sudan. Sono suddivisi in battaglioni dei quali solo tre a guardia degli oltre 2000 Km della frontiera con i territori italiani;
- 35.000 uomini nel Kenya provenienti in parte dal Sud Africa del premier Smuts;
- 1.500 nella Somalia britannica;
- 10.000 uomini componenti due battaglioni indiani rinforzati dislocati ad Aden;
Oltre alle truppe regolari sono da tener presenti le bande di etiopici delle quali non si possono fornire dati precisi.
Da questo quadro emerge come la situazione fosse tutt’altro che favorevole per le truppe italiane così come viene spesso sottolineato da molti storici anglosassoni. Sulla carta, come già sottolineato, la nostra superiorità è schiacciante ma la penuria di mezzi e materiali sarà una zavorra terribile per le nostre forze. Oltre a ciò occorre sottolineare come le truppe inglesi, durante tutto il corso della campagna, saranno ingrossate dall’arrivo periodico di nuovi rimpiazzi che presto andranno a colmare la differente consistenza numerica dei due eserciti.
Nonostante la critica gli abbia spesso considerati poco affidabili, secondo il mio parere, le truppe indigene meritano un particolare riconoscimento per il loro sacrificio e molto spesso per la loro fedeltà ai colori della nostra bandiera. I primi reparti ascari furono organizzati nel 1889 arruolando 2000 mila uomini eritrei che andarono, sotto il comando del colonnello Bagni, a rafforzare il corpo di spedizione del generale San Marzano. Da allora dimostrarono tutto il loro valore tanto da diventare un punto cardine del nostro sistema coloniale. Se gli Eritrei furono i più fedeli e motivati compagni d’avventura occorre ricordare che anche Somali, Arabi e uomini provenienti da Aden fecero parte del nostro esercito coloniale dando spesso prova di eroismo e sacrificio. Allo stesso tempo occorre ricordare che molte bande e tribù locali passarono al nemico man mano che si profilava la vittoria delle truppe inglesi.
La prima azione offensiva del nostro esercito si registrò alle prime luci dell’alba del 4 Luglio 1940 con l’attacco alla frontiera del Sudan in direzione Cassala. Con molta cautela il contingente italiano, composto da due brigate coloniali ( 4800 uomini ca.), 1500 cavalleggeri e 24 carri leggeri, avanzò per circa 20 Km all’interno della frontiera sudanese. Ad opporsi al nostro timido tentativo il comando britannico lasciò 300 uomini della Sudan Defence Force con una trentina di autocarri, alcuni dei quali blindati. Il comandante inglese della regione, William Platt, detto il Kaid, disponeva di non più di tre battaglioni di fanteria a protezione di quell’immenso territorio e decise di non sprecare uomini rimanendo in attesa, per saggiare le azioni del nemico.
Il nostro miserando attacca si articolò su tre colonne e dopo una piccola scaramuccia sul fiume Gasc, che costò al nostro esercito una quarantina di vittime, riuscimmo ad entrare a Cassala alla presenza di alcuni cine – operatori dell’Istituto Luce, grazie ai quali la nostra propaganda potè nuovamente tessere l’elogio delle nostre truppe.
Più a Sud il Quarto Gruppo Bande Armate di frontiera occupò Kurmuk il giorno 8 mentre il 14 altre bande coloniali si impadronirono di Ghezzan. Sempre in questo periodo altri gruppi armati a noi fedelissimi si impossessarono nel confine con il Kenya di Mojale e del saliente del Mandera.
Fu solo all’inizio di Agosto che il nostro esercito intraprese una seria offensiva optando per la Somalia inglese ,un territorio sabbioso che si affacciava sul Golfo di Aden. Nonostante, secondo molti storici anche questa fu solo una piccola operazione di alleggerimento, fu lo stesso duca d’Aosta a pianificare questo attacco secondo alcune ragioni che si dimostrarono poco lungimiranti :
- Questo territorio avrebbe potuto diventare una base di fondamentale importanza per il nemico nel corso della guerra;
- Conquistando questo territorio si sarebbe ridotta la frontiera terrestre di oltre 1050 Km e questa sarebbe stata sostituita da 750 Km di frontiera marittima. All’epoca con le nostre basi di Massaua, Assab e Chisimaio sembrò più facilmente difendibile;
- Il porto di Gibuti nella Somalia francese avrebbe potuto costituire una base di primaria importanze nel tentativo di penetrazione inglese verso l’ Etiopia. Per questo il vicerè decise di occupare il più vasto territorio della Somalia inglese con i suoi due porti di Berbera e Zeila circondando in questo modo il territorio transalpino.
Le truppe italiane, comandate dal generale Nasi, che il 3 Agosto presero parte all’offensiva sono formate da:
- tre battaglioni di fanteria metropolitana;
- quattordici di fanteria coloniale;
- due gruppi di artiglieria e una manciata di carri leggeri e medi;
A contrastarne l’avanzata i comandi inglesi schierarono, agli ordini del generale di brigata A. R. Charter che fu sostituito dopo alcuni giorni dal generale di divisione Godwin Austen:
- un battaglione britannico;
- II reggimento scozzese detto Black Watch;
- due battaglioni indiani;
- due battaglioni dell’ Africa Orientale;
Il nostro contingente si frazionò subito in due colonne: una raggiunse in pochi giorni la Somalia francese bloccandone la guarnigione che la presidiava, l’altra impiegò due giorni per raggiungere Hargeisa dove sostò tre giorni permettendo così all’esercito inglese di approntare le difese a Tug Argan. Qui, il giorno 11, la nostra offensiva registrò una netta battuta d’arresto di fronte a questo munitissimo varco formato da sei alture che dominavano la strada sottostante: dopo un pesante bombardamento da parte delle nostre artiglierie una brigata andò all’attacco di un’altura tenuta dal III battaglione del 15esimo reggimento Punjab. I nostri soldati riuscirono a conquistare la posizione e a mantenerla anche dopo due violentissimi attacchi indiani. Altre alture, nella giornata, furono attaccate ma non conquistate. Il giorno successivo i combattimenti continuarono senza ulteriori cambiamenti: si combattè per altri tre giorni sostenendo il peso di continui attacchi frontali che non previdero mai (???) la possibilità di un aggiramento. Questo macroscopico errore ci costò oltre 2000 vittime mentre gli Inglesi persero 250 uomini.
In assenza di ulteriori rinforzi e con la possibilità di essere accerchiati dalle truppe italiane, il corpo inglese decise di ritirarsi ed evacuare da Berbera via mare andando così ad ingrossare le file del contingente che si stava preparando in Kenya. Le nostre schiere entrarono nella città portuale il 19 Agosto trovandola sì priva di truppe ma anche sprovvista di carburante e generi alimentari che sarebbero stati come la manna dal cielo per il nostro esercito.
Con la conquista del Somaliland in poco più di una settimana l’esercito italiano vide segnata la propria sorte: nonostante la grande euforia d’ora in avanti l’iniziativa passò nelle mani degli Inglesi maggiormente riforniti ed equipaggiati per una guerra che non potè più essere solo difensiva ma che per essere vinta necessitava di azioni che le nostre truppe non poterono mettere in pratica per la scarsità cronica di mezzi.
- Mobilità delle truppe: dovuta sia allo scarso numero di autocarri, sia alla quantità di gomme disponibili. Vista la grave crisi si ipotizzò una durata delle scorte per appena due mesi.
- Carburante: salvo eventuali perdite a vantaggio del nemico si calcolò che le scorte fossero sufficienti per circa sei mesi
-Munizioni: erano circa la metà del quantitativo necessario quelle per le armi leggere mentre mancavano totalmente le armi contraeree e controcarro. Solo nel 1941 furono consegnati 4000 colpi per la contraerea.
La consistenza delle nostre truppe fu senz’altro notevole, almeno da un punto di vista numerico: allo scoppio della guerra, il 10 Giugno 1940, l’esercito italiano potè contare nelle proprie fila oltre 90 mila uomini delle truppe nazionali e circa 200 mila coloniali anche se alcune fonti sostengono che tale cifra sia di poco superiore alle 100 mila unità. Il complesso fu strutturato in:
- 23 brigate;
- 94 battaglioni;
- 16 squadroni di cavalleria;
L’organizzazione di queste truppe fu però adattata alle esigenze della colonia che ovviamente erano differenti rispetto a quelle della madrepatria: due sole divisioni di fanteria poterono essere equiparate a quelle in servizio nel nostro paese, tant’è che la base dell’intera struttura militare fu affidata ad unità più agili e numericamente inferiori come i battaglioni e le brigate, composte da un numero vario di battaglioni.
Le armi corazzate erano quasi inesistenti: furono disponibili 24 carri medi da 11 tonnellate e 35 carri leggeri da appena 5 tonnellate. L’ aviazione è suddivisa in otto gruppi e cinque squadriglie per un totale di 300 apparecchi di cui il 30% è da considerarsi in condizioni miserevoli. Si possono inoltre contare 5300 autocarri, 2300 autovetture e 307 motociclette. Nelle acque del Mar Rosso e dell’ Oceano Indiano, infine, sono presenti 8 sottomarini, 4 dei quali furono affondati nelle prime settimane, e 20 navi. Nonostante il numero sia tutt’altro che disprezzabile la modernità dei mezzi lascia molto a desiderare.
Per meglio comprendere gli eventi della campagna appare opportuno delineare la linea di comando militare della nostra colonia:
- Supremazia civile e militare: duca Amedeo d’Aosta;
- Scacchiere operativo Nord: gen. Luigi Frusci;
- Scacchiere operativo Sud: gen. Pietro Gazzera;
- Scacchiere operativo Est: gen. Guglielmo Nasi;
- Scacchiere Giuba: gen. Gustavo Pesanti;
A questi andarono ad affiancarsi i generali Bertoldi, De Simone e Scala mentre il comando della Marina fu affidato dell’ammiraglio Carlo Balsamo. Pietro Pinna fu infine il comandante superiore dell’Aeronautica. L’esercito inglese può contare su un numero di uomini decisamente inferiore al nostro:
- 25.000 uomini dislocati nel Sudan. Sono suddivisi in battaglioni dei quali solo tre a guardia degli oltre 2000 Km della frontiera con i territori italiani;
- 35.000 uomini nel Kenya provenienti in parte dal Sud Africa del premier Smuts;
- 1.500 nella Somalia britannica;
- 10.000 uomini componenti due battaglioni indiani rinforzati dislocati ad Aden;
Oltre alle truppe regolari sono da tener presenti le bande di etiopici delle quali non si possono fornire dati precisi.
Da questo quadro emerge come la situazione fosse tutt’altro che favorevole per le truppe italiane così come viene spesso sottolineato da molti storici anglosassoni. Sulla carta, come già sottolineato, la nostra superiorità è schiacciante ma la penuria di mezzi e materiali sarà una zavorra terribile per le nostre forze. Oltre a ciò occorre sottolineare come le truppe inglesi, durante tutto il corso della campagna, saranno ingrossate dall’arrivo periodico di nuovi rimpiazzi che presto andranno a colmare la differente consistenza numerica dei due eserciti.
Nonostante la critica gli abbia spesso considerati poco affidabili, secondo il mio parere, le truppe indigene meritano un particolare riconoscimento per il loro sacrificio e molto spesso per la loro fedeltà ai colori della nostra bandiera. I primi reparti ascari furono organizzati nel 1889 arruolando 2000 mila uomini eritrei che andarono, sotto il comando del colonnello Bagni, a rafforzare il corpo di spedizione del generale San Marzano. Da allora dimostrarono tutto il loro valore tanto da diventare un punto cardine del nostro sistema coloniale. Se gli Eritrei furono i più fedeli e motivati compagni d’avventura occorre ricordare che anche Somali, Arabi e uomini provenienti da Aden fecero parte del nostro esercito coloniale dando spesso prova di eroismo e sacrificio. Allo stesso tempo occorre ricordare che molte bande e tribù locali passarono al nemico man mano che si profilava la vittoria delle truppe inglesi.
La prima azione offensiva del nostro esercito si registrò alle prime luci dell’alba del 4 Luglio 1940 con l’attacco alla frontiera del Sudan in direzione Cassala. Con molta cautela il contingente italiano, composto da due brigate coloniali ( 4800 uomini ca.), 1500 cavalleggeri e 24 carri leggeri, avanzò per circa 20 Km all’interno della frontiera sudanese. Ad opporsi al nostro timido tentativo il comando britannico lasciò 300 uomini della Sudan Defence Force con una trentina di autocarri, alcuni dei quali blindati. Il comandante inglese della regione, William Platt, detto il Kaid, disponeva di non più di tre battaglioni di fanteria a protezione di quell’immenso territorio e decise di non sprecare uomini rimanendo in attesa, per saggiare le azioni del nemico.
Il nostro miserando attacca si articolò su tre colonne e dopo una piccola scaramuccia sul fiume Gasc, che costò al nostro esercito una quarantina di vittime, riuscimmo ad entrare a Cassala alla presenza di alcuni cine – operatori dell’Istituto Luce, grazie ai quali la nostra propaganda potè nuovamente tessere l’elogio delle nostre truppe.
Più a Sud il Quarto Gruppo Bande Armate di frontiera occupò Kurmuk il giorno 8 mentre il 14 altre bande coloniali si impadronirono di Ghezzan. Sempre in questo periodo altri gruppi armati a noi fedelissimi si impossessarono nel confine con il Kenya di Mojale e del saliente del Mandera.
Fu solo all’inizio di Agosto che il nostro esercito intraprese una seria offensiva optando per la Somalia inglese ,un territorio sabbioso che si affacciava sul Golfo di Aden. Nonostante, secondo molti storici anche questa fu solo una piccola operazione di alleggerimento, fu lo stesso duca d’Aosta a pianificare questo attacco secondo alcune ragioni che si dimostrarono poco lungimiranti :
- Questo territorio avrebbe potuto diventare una base di fondamentale importanza per il nemico nel corso della guerra;
- Conquistando questo territorio si sarebbe ridotta la frontiera terrestre di oltre 1050 Km e questa sarebbe stata sostituita da 750 Km di frontiera marittima. All’epoca con le nostre basi di Massaua, Assab e Chisimaio sembrò più facilmente difendibile;
- Il porto di Gibuti nella Somalia francese avrebbe potuto costituire una base di primaria importanze nel tentativo di penetrazione inglese verso l’ Etiopia. Per questo il vicerè decise di occupare il più vasto territorio della Somalia inglese con i suoi due porti di Berbera e Zeila circondando in questo modo il territorio transalpino.
Le truppe italiane, comandate dal generale Nasi, che il 3 Agosto presero parte all’offensiva sono formate da:
- tre battaglioni di fanteria metropolitana;
- quattordici di fanteria coloniale;
- due gruppi di artiglieria e una manciata di carri leggeri e medi;
A contrastarne l’avanzata i comandi inglesi schierarono, agli ordini del generale di brigata A. R. Charter che fu sostituito dopo alcuni giorni dal generale di divisione Godwin Austen:
- un battaglione britannico;
- II reggimento scozzese detto Black Watch;
- due battaglioni indiani;
- due battaglioni dell’ Africa Orientale;
Il nostro contingente si frazionò subito in due colonne: una raggiunse in pochi giorni la Somalia francese bloccandone la guarnigione che la presidiava, l’altra impiegò due giorni per raggiungere Hargeisa dove sostò tre giorni permettendo così all’esercito inglese di approntare le difese a Tug Argan. Qui, il giorno 11, la nostra offensiva registrò una netta battuta d’arresto di fronte a questo munitissimo varco formato da sei alture che dominavano la strada sottostante: dopo un pesante bombardamento da parte delle nostre artiglierie una brigata andò all’attacco di un’altura tenuta dal III battaglione del 15esimo reggimento Punjab. I nostri soldati riuscirono a conquistare la posizione e a mantenerla anche dopo due violentissimi attacchi indiani. Altre alture, nella giornata, furono attaccate ma non conquistate. Il giorno successivo i combattimenti continuarono senza ulteriori cambiamenti: si combattè per altri tre giorni sostenendo il peso di continui attacchi frontali che non previdero mai (???) la possibilità di un aggiramento. Questo macroscopico errore ci costò oltre 2000 vittime mentre gli Inglesi persero 250 uomini.
In assenza di ulteriori rinforzi e con la possibilità di essere accerchiati dalle truppe italiane, il corpo inglese decise di ritirarsi ed evacuare da Berbera via mare andando così ad ingrossare le file del contingente che si stava preparando in Kenya. Le nostre schiere entrarono nella città portuale il 19 Agosto trovandola sì priva di truppe ma anche sprovvista di carburante e generi alimentari che sarebbero stati come la manna dal cielo per il nostro esercito.
Con la conquista del Somaliland in poco più di una settimana l’esercito italiano vide segnata la propria sorte: nonostante la grande euforia d’ora in avanti l’iniziativa passò nelle mani degli Inglesi maggiormente riforniti ed equipaggiati per una guerra che non potè più essere solo difensiva ma che per essere vinta necessitava di azioni che le nostre truppe non poterono mettere in pratica per la scarsità cronica di mezzi.
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