Corazzata Littorio |
In base a quanto redatto nel Documento di Guerra 1 del 1 Luglio 1938 la Marina da guerra italiana veniva organizzata in base ad una struttura piramidale alla cui sommità si trovava Supermarina, a disposizione del Capo di Stato Maggiore. La sua funzione era quella di recepire e tradurre in ordini le informazioni superiori e diramarle ai singoli comandi dipendendenti da essa. All’inizio del secondo conflitto mondiale, il 10 Giugno 1940, la Flotta italiana era suddivisa in due Squadre con comandi indipendenti:
Comando in Capo Prima Squadra: Ammiraglio di Squadra Inigo Campioni sulla nave Littorio
1)Comando Quinta Divisione: Ammiraglio di Divisione Pellegrino Matteucci sulla nave Zara
2)Comando Prima Divisione: Ammiraglio di Divisione Ferdinando Casari sulla nave Bande Nere
3)Comando Seconda Divisione: Ammiraglio di Divisione Antonio Legnani sulla nave Duca degli Abruzzi
4)Comando Ottava Divisione: Ammiraglio di Divisione Carlo Bergamini sulla nave Littorio
Comando in Capo Seconda Squadra: Ammiraglio di Squadra Riccardo Paladini sulla nave Pola
1)Comando Terza Divisione: Ammiraglio di Divisione Carlo Cattaneo sulla nave Trento
2)Comando Quarta Divisione: Ammiraglio di Divisione Alberto Marengo di Moribondo sulla nave Da Barbiano
3)Comando Settima Divisione: Ammiraglio di Divisione Luigi Sansonetti sulla nave Eugenio di Savoia
All’entrata in guerra del nostro paese la flotta da guerra italiana veniva considerarata una delle più potenti al mondo: solo Gran Bretagna, con la sua secolare tradizione, Stati Uniti, Germania e Francia potevano dirsi superiori alle nostre unità. Questo ragionamento però, come vedremo in seguito, sarà valido solo sulla carta, in quanto la nostra Marina alla prova del fuoco si rivelerà un grande bluff sia per lo scarso addestramento di quadri e di truppa, sia per la mancata organizzazione delle strutture di comando ad una nuova guerra in cui il connubio nave – aereo era fondamentale per vincere gli scontri contro una delle più potenti ed esperte flotte del mondo. Come dicevamo, sulla carta, le nostre unità navali all’inizio del conflitto sembravano dover garantire quella intransitabilità all’interno del mar Mediterraneo che sia Mussolini che Hitler si aspettavano per garantire i rifornimenti alle nostre truppe nelle colonie d’Africa occidentale e per strangolare quelle inglesi, in particolare eliminare l’avamposto di Malta. Per meglio chiarire la situazione della nostra flotta da guerra si elencano le singole unità che la componevano:
6 corazzate di cui tre estremamente moderne da oltre 35 mila tonnellate, nove pezzi da 381 e 30 nodi di velocità
. 7 incrociatori pesanti da oltre 10 tonnellate
14 incrociatori leggeri con un peso compreso tra le 5 e le 8 tonnellate
12 cacciatorpediniere conduttori di flottiglia
28 moderni cacciatorpediniere
19 cacciatorpediniere di vecchio modello
69 torpediniere
117 sommergibili
Ad essa la Gran Bretagna contrapponeva la Mediterranean Fleet agli ordini dell’Ammiraglio Cunningham il quale poteva contrapporre alle nostre unità:
3 corazzate
3 incrociatori pesanti
4 incrociatori leggeri
31 cacciatorpediniere
8 sommergibili
1 portaerei
Una delle critiche più aspre mosse contro la nostra Marina militare sarà la mancanza di una unità fondamentale per la nuova guerra che ci apprestavamo a combattere: la portaerei. Il riarmo della nostra flotta era stato senza dubbio qualitativamente importante, oltre a trasformare alcune vecchie unità come la Cavour, la Giulio Cesare in un primo tempo e in seguito la Duilio e la Doria, si era provveduto al varo di alcune corazzate di impareggiabile qualità: la Littorio e la Vittorio Veneto che potevano vantare una velocità di 30 nodi e un armamento comprendente 9 pezzi da 381 che spaventavano, e a ragione, l’Ammiraglio Cunningham più di ogni altra cosa. Egli poteva contare sulla corazzata Queen Elisabeth che era senza dubbio superiore alle nostre quattro rimodernate, ma molte sue unità principali erano inferiori alle nostre ultime navi che, come abbiamo sottolineato, rappresentavano il fiore all’occhiello della nostra Marina. La mancanza di unità portaerei, però, rendeva questa superiorità puramente teorica: nonostante ripetuti studi e insistenze da parte dei vertici della Marina il Duce era convinto che la nostra penisola rappresentasse una vera e propria portaerei naturale e che quindi non fosse necessario sperperare i pochi soldi a disposizione in unità che non avrebbero avuto alcun peso nelle operazioni future. Questo atteggiamento è facilmente spiegabile col fatto che in realtà non avevamo alcuna intenzione di intraprendere una guerra guerreggiata. La Germania era prossima alla vittoria e al Duce servivano alcuni centinaia da morti per sedersi al tavolo della pace dove poter reclamare quei territori che tanto gli erano cari e che avrebbero ampliato il nostro neonato Impero.
Lo stesso Cavagnari, Capo di Stato Maggiore della Marina, in un memorandum inviato al Duce all’alba del nostro ingresso in guerra affermava che non sembra giustificata l’entrata in guerra di nostra iniziativa vista la nostra inferiorità navale. Mussolini però decise di non ascoltarlo ribadendo la superiorità delle nostre corazzate e la necessità di sconfiggere gli anglo – francesi per scrivere la storia.
Alcuni decenni prima la nostra flotta avrebbe controllato in maniera decisamente efficace il traffico all’interno del Mediterraneo, ma in un ’epoca in cui il connubio nave – aereo diventava ogni giorno più stretto pensare di risolvere gli scontri senza un supporto dal cielo era quanto meno anacronistico.
Oltre a questa grave carenza, un altro elemento alla base della disastrosa esperienza della nostra flotta durante la Seconda Guerra mondiale sarà rappresentato dagli arcaici schemi di comportamento che i nostri vertici militari adottavano durante gli scontri in mare. Come abbiamo detto in precedenza al vertice della piramide di comando troviamo Supermarina che aveva il compito di inviare gli ordini e le informazioni ai vari comandanti. Oltre a sottolineare che i pari grado inglesi era indipendenti durante le loro azioni, bisogna ricordare che il nostro comando centrale si trovava a Roma e quindi non poteva far altro che basare le proprie scelte su informazioni spesso vecchie di ore che, in più di un’occasione, saranno la causa degli insuccessi delle nostre forze di mare.
Oltre a ciò va sottolineato che l’aviazione era diretta da un altro comando centrale, completamente indipendente, denominato Superaereo al quale i nostri comandanti dovevano far richiesta di supporto dal cielo con uno spreco di tempo incalcolabile e con risultati spesso disastrosi. Accadrà più di una volta che i nostri aerei si presenteranno sul teatro di guerra ad azione finita o bombarderanno le nostre unità.
Oltre a queste carenze strutturali non vanno dimenticate quelle concernenti l’addestramento degli equipaggi. Uno dei più grandi limiti della nostra Marina sarà rappresentato dal combattimento notturno. La completa mancanza dell’abitudine a combattere dopo il tramonto rendeva le nostre unità ancora più fragili contro una flotta rodata da secoli di combattimenti e di azioni marittime, che ci era anche superiore nelle manovre diurne e che poteva contare sull’appoggio fondamentale dell’arma aerea sia per l’offesa ma anche e soprattutto per l’esplorazione a largo raggio. Era impensabile condurre operazioni di ricognizione con soli 163 Cant Z 501 e 40 Ro 44 imbarcati sulla flotta.
Spesso per esigenze di bilancio si preferiva rimanere con le singole unità piuttosto che procedere con l’addestramento in mare aperto: non si doveva sprecare la tanto preziosa benzina nè consumare i proiettili che sarebbero serviti per completare l’addestramento al tiro che in molte occasioni sarà uno dei nostri punti deboli durante le azioni in mare aperto. Per meglio comprendere la mentalità dei nostri ammiragli riportiamo uno stralcio del dialogo tra l’ammiraglio di prima nomina Da Zara e il capo della nostra marina Cavagnari pubblicato all’interno del libro di Giorgio Bocca Storia d’Italia nella guerra fascista. Diceva Da Zara: Occorre la cooperazione aeronavale in risposta Cavagnari asseriva: Andiamo, io l’aviazione non la conosco. Esercitazioni di tiro camminando a tutta velocità. E la nafta me la paga lei?. Gare di velocità: Il camposanto delle macchine.
Da sottolineare infine la nostra carenza in campo tecnologico: lo strumento che più di tutti si rivelerà fondamentale per le azioni notturne sarà il radar. Le unità inglesi ne erano dotate e lo sfruttavano al meglio proprio contro i nostri vascelli, noi invece ne eravamo sprovvisti a causa della mancanza cronica di fondi per continuare la ricerca e in un secondo tempo per costruire tutti gli esemplari per equipaggiare per la nostra flotta.
Roberto Biagioni
Per gentile concessione di Roberto Biagioni
Comando in Capo Prima Squadra: Ammiraglio di Squadra Inigo Campioni sulla nave Littorio
1)Comando Quinta Divisione: Ammiraglio di Divisione Pellegrino Matteucci sulla nave Zara
2)Comando Prima Divisione: Ammiraglio di Divisione Ferdinando Casari sulla nave Bande Nere
3)Comando Seconda Divisione: Ammiraglio di Divisione Antonio Legnani sulla nave Duca degli Abruzzi
4)Comando Ottava Divisione: Ammiraglio di Divisione Carlo Bergamini sulla nave Littorio
Comando in Capo Seconda Squadra: Ammiraglio di Squadra Riccardo Paladini sulla nave Pola
1)Comando Terza Divisione: Ammiraglio di Divisione Carlo Cattaneo sulla nave Trento
2)Comando Quarta Divisione: Ammiraglio di Divisione Alberto Marengo di Moribondo sulla nave Da Barbiano
3)Comando Settima Divisione: Ammiraglio di Divisione Luigi Sansonetti sulla nave Eugenio di Savoia
All’entrata in guerra del nostro paese la flotta da guerra italiana veniva considerarata una delle più potenti al mondo: solo Gran Bretagna, con la sua secolare tradizione, Stati Uniti, Germania e Francia potevano dirsi superiori alle nostre unità. Questo ragionamento però, come vedremo in seguito, sarà valido solo sulla carta, in quanto la nostra Marina alla prova del fuoco si rivelerà un grande bluff sia per lo scarso addestramento di quadri e di truppa, sia per la mancata organizzazione delle strutture di comando ad una nuova guerra in cui il connubio nave – aereo era fondamentale per vincere gli scontri contro una delle più potenti ed esperte flotte del mondo. Come dicevamo, sulla carta, le nostre unità navali all’inizio del conflitto sembravano dover garantire quella intransitabilità all’interno del mar Mediterraneo che sia Mussolini che Hitler si aspettavano per garantire i rifornimenti alle nostre truppe nelle colonie d’Africa occidentale e per strangolare quelle inglesi, in particolare eliminare l’avamposto di Malta. Per meglio chiarire la situazione della nostra flotta da guerra si elencano le singole unità che la componevano:
6 corazzate di cui tre estremamente moderne da oltre 35 mila tonnellate, nove pezzi da 381 e 30 nodi di velocità
. 7 incrociatori pesanti da oltre 10 tonnellate
14 incrociatori leggeri con un peso compreso tra le 5 e le 8 tonnellate
12 cacciatorpediniere conduttori di flottiglia
28 moderni cacciatorpediniere
19 cacciatorpediniere di vecchio modello
69 torpediniere
117 sommergibili
Ad essa la Gran Bretagna contrapponeva la Mediterranean Fleet agli ordini dell’Ammiraglio Cunningham il quale poteva contrapporre alle nostre unità:
3 corazzate
3 incrociatori pesanti
4 incrociatori leggeri
31 cacciatorpediniere
8 sommergibili
1 portaerei
Una delle critiche più aspre mosse contro la nostra Marina militare sarà la mancanza di una unità fondamentale per la nuova guerra che ci apprestavamo a combattere: la portaerei. Il riarmo della nostra flotta era stato senza dubbio qualitativamente importante, oltre a trasformare alcune vecchie unità come la Cavour, la Giulio Cesare in un primo tempo e in seguito la Duilio e la Doria, si era provveduto al varo di alcune corazzate di impareggiabile qualità: la Littorio e la Vittorio Veneto che potevano vantare una velocità di 30 nodi e un armamento comprendente 9 pezzi da 381 che spaventavano, e a ragione, l’Ammiraglio Cunningham più di ogni altra cosa. Egli poteva contare sulla corazzata Queen Elisabeth che era senza dubbio superiore alle nostre quattro rimodernate, ma molte sue unità principali erano inferiori alle nostre ultime navi che, come abbiamo sottolineato, rappresentavano il fiore all’occhiello della nostra Marina. La mancanza di unità portaerei, però, rendeva questa superiorità puramente teorica: nonostante ripetuti studi e insistenze da parte dei vertici della Marina il Duce era convinto che la nostra penisola rappresentasse una vera e propria portaerei naturale e che quindi non fosse necessario sperperare i pochi soldi a disposizione in unità che non avrebbero avuto alcun peso nelle operazioni future. Questo atteggiamento è facilmente spiegabile col fatto che in realtà non avevamo alcuna intenzione di intraprendere una guerra guerreggiata. La Germania era prossima alla vittoria e al Duce servivano alcuni centinaia da morti per sedersi al tavolo della pace dove poter reclamare quei territori che tanto gli erano cari e che avrebbero ampliato il nostro neonato Impero.
Lo stesso Cavagnari, Capo di Stato Maggiore della Marina, in un memorandum inviato al Duce all’alba del nostro ingresso in guerra affermava che non sembra giustificata l’entrata in guerra di nostra iniziativa vista la nostra inferiorità navale. Mussolini però decise di non ascoltarlo ribadendo la superiorità delle nostre corazzate e la necessità di sconfiggere gli anglo – francesi per scrivere la storia.
Alcuni decenni prima la nostra flotta avrebbe controllato in maniera decisamente efficace il traffico all’interno del Mediterraneo, ma in un ’epoca in cui il connubio nave – aereo diventava ogni giorno più stretto pensare di risolvere gli scontri senza un supporto dal cielo era quanto meno anacronistico.
Oltre a questa grave carenza, un altro elemento alla base della disastrosa esperienza della nostra flotta durante la Seconda Guerra mondiale sarà rappresentato dagli arcaici schemi di comportamento che i nostri vertici militari adottavano durante gli scontri in mare. Come abbiamo detto in precedenza al vertice della piramide di comando troviamo Supermarina che aveva il compito di inviare gli ordini e le informazioni ai vari comandanti. Oltre a sottolineare che i pari grado inglesi era indipendenti durante le loro azioni, bisogna ricordare che il nostro comando centrale si trovava a Roma e quindi non poteva far altro che basare le proprie scelte su informazioni spesso vecchie di ore che, in più di un’occasione, saranno la causa degli insuccessi delle nostre forze di mare.
Oltre a ciò va sottolineato che l’aviazione era diretta da un altro comando centrale, completamente indipendente, denominato Superaereo al quale i nostri comandanti dovevano far richiesta di supporto dal cielo con uno spreco di tempo incalcolabile e con risultati spesso disastrosi. Accadrà più di una volta che i nostri aerei si presenteranno sul teatro di guerra ad azione finita o bombarderanno le nostre unità.
Oltre a queste carenze strutturali non vanno dimenticate quelle concernenti l’addestramento degli equipaggi. Uno dei più grandi limiti della nostra Marina sarà rappresentato dal combattimento notturno. La completa mancanza dell’abitudine a combattere dopo il tramonto rendeva le nostre unità ancora più fragili contro una flotta rodata da secoli di combattimenti e di azioni marittime, che ci era anche superiore nelle manovre diurne e che poteva contare sull’appoggio fondamentale dell’arma aerea sia per l’offesa ma anche e soprattutto per l’esplorazione a largo raggio. Era impensabile condurre operazioni di ricognizione con soli 163 Cant Z 501 e 40 Ro 44 imbarcati sulla flotta.
Spesso per esigenze di bilancio si preferiva rimanere con le singole unità piuttosto che procedere con l’addestramento in mare aperto: non si doveva sprecare la tanto preziosa benzina nè consumare i proiettili che sarebbero serviti per completare l’addestramento al tiro che in molte occasioni sarà uno dei nostri punti deboli durante le azioni in mare aperto. Per meglio comprendere la mentalità dei nostri ammiragli riportiamo uno stralcio del dialogo tra l’ammiraglio di prima nomina Da Zara e il capo della nostra marina Cavagnari pubblicato all’interno del libro di Giorgio Bocca Storia d’Italia nella guerra fascista. Diceva Da Zara: Occorre la cooperazione aeronavale in risposta Cavagnari asseriva: Andiamo, io l’aviazione non la conosco. Esercitazioni di tiro camminando a tutta velocità. E la nafta me la paga lei?. Gare di velocità: Il camposanto delle macchine.
Da sottolineare infine la nostra carenza in campo tecnologico: lo strumento che più di tutti si rivelerà fondamentale per le azioni notturne sarà il radar. Le unità inglesi ne erano dotate e lo sfruttavano al meglio proprio contro i nostri vascelli, noi invece ne eravamo sprovvisti a causa della mancanza cronica di fondi per continuare la ricerca e in un secondo tempo per costruire tutti gli esemplari per equipaggiare per la nostra flotta.
Roberto Biagioni
Per gentile concessione di Roberto Biagioni
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