Dopo il primo mese di guerra la delusione nei confronti della nostra Marina militare era palpabile. I marinai e l’opinione pubblica, convinti dai racconti della propaganda della nostra superiorità nei confronti del nemico inglese, si aspettavano un grande colpo contro la Mediterranean Fleet o la base navale di Malta che veniva considerata come una vera e propria spina nel fianco delle nostre rotte da e verso la Libia.
Dopo trenta giorni di combattimenti il bilancio delle nostre operazioni marittime era decisamente negativo. Tralasciando il fatto che le nostre grandi unità da guerra si trovavano al sicuro nei porti di Napoli e Taranto, la strategia bellica dello Stato Maggiore italiano si era limitata a comprendere i soli mezzi sommergibili che avevano avuto il compito di posizionarsi in agguato nel Mediterraneo e nel Mar Rosso: i due terzi della flotta sottomarina sono mandati in missione, al rientro nelle basi, però, mancano all’appello sei sottomarini nello scacchiere mediterraneo e quattro in quello del Mar Rosso a fronte di un incrociatore e di una petroliera, la Naiade, affondate.
Se non bastasse, un altro problema andava delineandosi all’orizzonte: la necessità di rifornire le truppe di stanza in Libia. Mussolini e i suoi gerarchi pretendevano da parte del nostro corpo di spedizione, composto da oltre 230 mila uomini, una rapida avanzata verso l’Egitto. A dimostrare ancora una volta che questa guerra non era nè voluta nè programmata solo in questi mesi ci si rende conto di come queste truppe manchino di tutto l’equipaggiamento per fronteggiare il nemico, dagli armamenti alle divise fino ai mezzi di trasporto. Questa grande quantità di materiali non può essere trasportata sfruttando gli angusti spazi dei sommergibili ma programmando una fitta rete di convogli che dall’Italia trasportasse tutto il necessario per rifornire i nostri uomini in terra d’Africa.
Proprio da questa esigenza nasceva il primo scontro navale tra le due formazioni che si contendevano la superiorità nel Mediterraneo. La Regia Marina italiana nella notte tra il 7 e 8 Luglio 1940 schierava in mare tutta la sua flotta per scortare un convoglio di cinque piroscafi diretti a Bengasi che trasportavano un carico decisamente inferiore alle loro possibilità:
2190 soldati
232 veicoli
10445 tonnellate di materiale
5720 tonnellate di carburante
A protezione di questo convoglio Supermarina aveva deciso di schierare:
le corazzate Giulio Cesare, in cui era imbarcato il comandante Campioni e Cavour
Inigo Campioni |
gli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume, Gorizia, Trento e Bolzano
10 incrociatori leggeri
31 cacciatorpediniere
Essendo il suo carico di vitale importanza per le sorti delle nostre truppe in Libia il Comando Superiore decise di assegnare a protezione ravvicinata dei cinque piroscafi:
2 incrociatori leggeri
4 cacciatorpediniere
6 torpediniere
L’azione inglese era invece denominata M.A.5 e aveva il duplice scopo di condurre due convogli dall’isola di Malta in cui sarebbero stati sgomberati i civili e le famiglie di molti miliari impegnati nel Mediterraneo. Questi piroscafi erano scortati da tre gruppi di navi da guerra dimostrando così la volontà da parte della Marina britannica di scontrarsi con quella italiana nel caso di un incontro durante l’azione di trasporto.
Forza A agli ordine dell’Ammiraglio Towey era composta da 5 incrociatori e un cacciatorpediniere
L'Ammiraglio della Flotta, sir Andrew Cunningham, Primo Lord del Mare e Capo dello Staff Navale , alla sua scrivania all'Ammiragliato a Londra |
Forza B agli ordini dell’Ammiraglio Cunnigham era composta dalla corazzata Warspite e da 5 cacciatorpediniere
Forza C agli ordini dell’ Ammiraglio Pridham – Wippel era composta dalle corazzate Malaya e Royal Sovereign, dalla portaerei Eagle e da 10 cacciatorpediniere.
Occorre però precisare che l’intenzione di attaccare il nemico era stata paventata dallo stesso Campioni prima della partenza. Egli, infatti, aveva dichiarato nel suo ordine operativo che: nel caso di avvistamento di forze nemiche intendo agire con la massima decisione contro di esse. Dopo oltre un mese di blandi tentativi era finalmente giunta l’ora di dimostrare che la Marina italiana poteva dominare incontrastata le acque del mare nostrum garantendo la sicurezza a tutti quei convogli che avrebbero alimentato la nostra avanzata verso l’Egitto. L’unico neo di questa operazione era la mancata partecipazione delle due nuove corazzate ancorate a Taranto: la Littorio e la Vittorio Veneto. Supermarina aveva infatti bocciato la richiesta dell’Ammiraglio Bergamini di schierarle in questa missione per poterne testare le effettive potenzialità. La presenza di queste unità avrebbe, forse, rovesciato l’esito della battaglia in quanto le corazzate inglesi, fatta eccezione per la Warspite, erano inferiori sia per velocità che per armamento.
Il convoglio italiano, come abbiamo già detto, era composto da cinque piroscafi: Esperia, Calitea, Pisani e Foscarinisalpati dal porto di Napoli mentre il Barbaro era salpato poche ore dopo da quello di Taranto. All’ 1.50 del giorno 8 l’Ammiraglio Campioni riceveva da Supermarina un messaggio che lo informava della presenza in mare della flotta nemica senza, però, fornirne la composizione. Il comando centrale della marina informava che, secondo alcune rilevazioni, la flotta britannica era stata avvistata nei pressi di Res el Tin, mentre un secondo gruppo navigava 45 miglia a occidente in direzione di Malta. A sostegno della tesi che l’obiettivo era Malta era stata confermata la presenza di cinque piroscafi nel porto dell’isola.
L’Ammiraglio, consapevole che il suo compito era quello di scortare i piroscafi sani e salvi in Libia, decideva di evitare rischi e cambiava i propri piani operativi:
I cinque piroscafi con la loro scorta diretta avrebbero cambiato rotta. Non più in direzione 147( Bengasi), ma 180 verso il porto di Tripoli.
Divideva il resto della sua poderosa scorta in due gruppi stabilendo un punto di incontro per le 5.30. La sua unità, formata da 2 corazzate, 6 incrociatori leggeri e 16 cacciatorpediniere, doveva incontrarsi con quella dell’Ammiraglio Paladini imbarcato sul Pola.
Infine decideva di mandare in perlustrazione un piccolo RO 43, catapultato dalla Giulio Cesare, con per un raggio di 100 miglia.
Il rientro dell’ RO 43 senza alcuna informazione utile induceva Campioni a ritornare sulle proprie decisioni facendo ripristinare la rotta del convoglio verso il porto di Bengasi. Per evitare qualsiasi rischio la scorta sarebbe stata rinforzata con le unità della VII Divisione. Le ore intanto trascorrevano tranquille: l’Ammiraglio Cunningham riceveva comunicazione alle ore 8 del giorno 8 che le navi italiane si trovavano in mare a 200 miglia a est di Malta. Spinto dalla volontà di incrociare il nostro convoglio decideva di inviare in esplorazione numerosi velivoli dall’isola mediterranea. La sua mossa viene premiata e infatti alle ore 15 un Sunderland in ricognizione comunicava al suo Ammiraglio la presenza delle nostre unità a 100 miglia a nord – ovest di Bengasi. Pochi minuti dopo lo stesso Campioni riceveva l’informazione che 3 corazzate e 8 cacciatorpediniere si trovavano a sud di Creta con rotta verso ovest. Deciso anch’egli a dar battaglia dopo un mese di continui rinvii faceva cambiare rotta alle nostre unità che si sarebbero dirette verso il nemico.
Il Comando Centrale, Supermarina, grazie ad alcune intercettazioni decideva di vietare al nostro Ammiraglio qualsiasi puntata offensiva: “Non impegnatevi col gruppo corazzato nemico. Deluso dall’atteggiamento remissivo dei comandi superiori Campioni invertiva la rotta della nostra flotta verso la sicura base di Taranto.
L’Ammiraglio Cunningham, dopo essere stato informato del probabile attacco della nostra formazione, sospendeva la missione dei piroscafi dall’isola di Malta e decideva di dare battaglia frapponendosi tra le navi italiane e la loro destinazione. Egli era convinto che anche i nostri convogli fossero rientrati nei porti italiani, in realtà, come verrà a sapere più tardi, in tarda serata i piroscafi attraccheranno al porto di Bengasi scaricando i tanto preziosi mezzi e materiali. Alle ore 22 Supermarina confermava al nostro Ammiraglio la necessità di far convergere entro le 14 del giorno 9 le sue unità a 60 miglia a sud – est di Punta Stilo in preparazione di uno scontro con la flotta inglese. Prima di giungere a destinazione la nostra flotta dovette fare a meno di 13 cacciatorpediniere che dovettero rientrare in quanto a corto di carburante. Per compensare questa assenza, Campioni decideva di far giungere nel luogo di incontro il gruppo Vivaldi che lasciavano il porto di Taranto alle 6 del giorno 9. La loro partenza scatenerà numerose polemiche in quanto senza la loro scorta le due nostre migliori corazzate non potranno lasciare il loro rifugio. Il pericolo dei sommergibili nel Golfo di Taranto era troppo elevato per arrischiare un’azione così sconsiderata.
Nella prima mattinata del giorno 9 la flotta italiana si disponeva su quattro colonne per raggiungere entro le ore 14 il punto di riunione stabilito il giorno precedente. Intanto l’Ammiraglio Cunningham, che si stava avvicinando alle coste italiane, decideva di disporre le sue unità secondo il seguente schema:
In testa, con un vantaggio di 10 miglia, 4 incrociatori al comando dell’Ammiraglio Towey
Nel centro l’ammiraglia inglese, la corazzata Warspite in cui era imbarcato lo stesso Cunningham
In coda le due corazzate più vecchie e meno efficienti la Malaya e la Royal Sovereign A dieci miglia più a est la portaerei Eagle
L’Ammiraglio Campioni invece non riceveva notizie sulla posizione del nemico da molte ore. Incredulo del fatto che la nostra aviazione non fosse ancora intervenuta per bombardare le unità nemiche, alle ore 13.30 riceveva la notizia che la flotta inglese si trovava a 80 miglia a nord – est. Nonostante oggi si sappia che a quell’ora Cunningham era decisamente più vicino, il nostro Ammiraglio decideva di scontrarsi con quella flotta che tutti consideravano la migliore al mondo.
Il nostro schieramento sul mare era il seguente:
A dritta delle due corazzate Cavour e Giulio Cesare erano schierati i nostri incrociatori leggeri
A ponente l’Ammiraglio Palladini con il Gruppo guidato dal Pola
Pochi minuti prima delle ore 15 le avanguardie delle due flotte comunicavano i rispettivi avvistamenti issando sui pennoni le bandiere da combattimento. Alle 15.20 cominciava la vera battaglia: gli incrociatori italiani della VIII Divisione al comando dell’Ammiraglio Legnani sparavano i primi colpi. Anche la IV dell’Ammiraglio Marenco di Moribondo, che includeva gli incrociatori leggeri Barbiano e Di Giussano, iniziava il proprio tiro verso il nemico. A circa 20000 mila metri di distanza le navi inglesi, a loro volta, aprivano il fuoco: erano gli incrociatori Sidney e Orion. Alle 15.30 il primo scontro tra le due flotte era terminato, solo un proiettile del Garibaldi aveva provocato minimi danni al Neptune che però poteva continuare la battaglia senza conseguenze.
Dopo questa prima serie di cannonate tra le unità minori delle due flotte entravano in gioco i mostri d’acciaio: le corazzate. La Warspite, dopo un breve scontro con gli incrociatori dell’Ammiraglio Legnani, accostava di 36 gradi per consentire alla più lenta Malaya di partecipare allo scontro. La Royal Sovereign , invece, non parteciperà allo scontro a causa della su lentezza che non le consentiva di raggiungere il resto del gruppo. Alle 15.23 era la volta delle nostre ammiraglie di entrare in battaglia. L’Ammiraglio Campioni ordinava alle sue corazzate e agli incrociatori pesanti del gruppo Pola di serrare verso il nemico.
Dopo trenta minuti, alle 15.53, partono le prime salve dai cannoni da 320 dalla Giulio Cesare da una distanza di 26 mila metri. Il suo obiettivo era la Warspite mentre la Cavour avrebbe indirizzato i propri colpi contro l’altra corazzata inglese : la Malaya. Lo scontro dura circa sei minuti fino a che un proiettile della Warspite colpiva il fumaiolo poppiero della Giulio Cesare : erano le 15.59. Il tiro provoca un piccolo incendio, ma le esalazioni di gas invadevano alcune caldaie della nave. Delle 8 a disposizione 4 dovettero essere spente riducendo così la velocità fino a 18 nodi. Campioni era preoccupato, nella sua relazione sullo scontro scriverà: “Ho ritenuto che non fosse assolutamente da consigliare di lasciare la sola Cavour e gli incrociatori da 10 mila alle prese con le corazzate nemiche. Ho ordinato pertanto la rottura del contatto. Cunningham, alla vista del colpo inferto alla Giulio Cesare si compiacerà: Subito dopo l’esplosione si levò una nube di fumo e compresi che quella unitààera stata seriamente danneggiata alla prodigiosa distanza di 13 miglia. La nostra corazzata, intanto, si disimpegnava lasciando sul posto la Cavour e i sei incrociatori pesanti dell’Ammiraglio Paladini. Questi però dopo pochi minuti decidevano di abbandonare lo scontro e scortare la ferita in acque sicure lasciando che le cacciatorpediniere provassero alcuni lanci di siluri che però non daranno alcun risultato. Alle 16.04 anche i cannoni della Warspite cessavano di sparare. Dopo appena sette minuti lo scontro tra le grandi unità di linea cessava.
Campioni decideva infatti di rientrare nelle proprie basi, sopravvalutando le conseguenze del colpo subito. Per Cunnigham infatti quella cannonata produsse un effetto morale del tutto sproporzionato ai danni causati.
Quello che più sconcerta in questa prima battaglia che coinvolgeva la Marina italiana era la totale assenza della nostra Regia Aeronautica. Fino alle 15.50 l’Ammiraglio Campioni faceva richiesta di un intervento dei nostri velivoli per sostenere la sua azione contro le unità britanniche. Alle ore 16.43 finalmente i primi apparecchi giungevano sul posto: sino al tramonto del sole oltre 126 aerei sganceranno poco più di 500 bombe, ma quello che più desta sorpresa è la completa incapacità di provocare danni alla flotta nemica e di colpire, in molti casi, le nostre unità. Bisogna comunque sottolineare che senza la presenza di osservatori di marina sulle nostre unità era molto difficile distinguere quali unità fossero inglesi e quali italiane. L’esasperazione dei nostri marnai, già in chiara rotta verso Messina, porterà anche a scontri a fuoco con i nostri piloti.
Quello che più sconcerta in questa prima battaglia che coinvolgeva la Marina italiana era la totale assenza della nostra Regia Aeronautica. Fino alle 15.50 l’Ammiraglio Campioni faceva richiesta di un intervento dei nostri velivoli per sostenere la sua azione contro le unità britanniche. Alle ore 16.43 finalmente i primi apparecchi giungevano sul posto: sino al tramonto del sole oltre 126 aerei sganceranno poco più di 500 bombe, ma quello che più desta sorpresa è la completa incapacità di provocare danni alla flotta nemica e di colpire, in molti casi, le nostre unità. Bisogna comunque sottolineare che senza la presenza di osservatori di marina sulle nostre unità era molto difficile distinguere quali unità fossero inglesi e quali italiane. L’esasperazione dei nostri marnai, già in chiara rotta verso Messina, porterà anche a scontri a fuoco con i nostri piloti.
Dopo lo scontro con la nostra flotta l’Ammiraglio Cunningham proseguiva la propria missione navigando verso l’isola di Malta. Qui si sarebbe rifornito e il giorno 11 avrebbe scortato i propri piroscafi verso il porto di Alessandria senza essere mai attaccato dai nostri aerei.
Le lezioni dello scontro di Punta Stilo sono molteplici e spesso gli stessi critici dissentono sulle conseguenze della prima battaglia nel Mediterraneo. Molti sostengono che il risultato di un pareggio sarebbe la conseguenza ideale, chi scrive, però, è più propenso a credere che dopo questo scontro la Marina inglese otteneva un netto vantaggio psicologico che non l’avrebbe abbandonata per tutto il corso della guerra.
La mancanza di coordinamento tra la Marina e l’Aeronautica saranno anche in futuro il nostro punto debole. Era impensabile, soprattutto dopo il disastroso risultato di Punta Stilo, pensare che gli aerei che giungevano da terra potessero distinguere le sagome nemiche da quelle amiche senza opportuni mezzi di riconoscimento. Durante la battaglia le formazioni mutano così velocemente che sarebbe necessario avere una portaerei da cui lanciare i nostri aerei. Questa non c’è e per questo alcuni propongono di utilizzare navi appoggio da cui catapultarli. Questa ed altre proposte saranno però lasciate inesaudite.
Molte critiche vengono anche rivolte al comportamento dei nostri ufficiale e alla loro preparazione. Vecchie accuse che per tutta la guerra i nostri vertici si ritroveranno a fronteggiare. Nonostante questo Mussolini esultava: in un bollettino straordinario del 16 Luglio si scriveva: vari colpi raggiungevano le navi nemiche, una delle quali era vista appruarsi e cessare il fuoco”.
L’Ammiraglio Cunningham, dopo questo parziale successo, era sempre più convinto dell’inefficacia dei nostri bombardieri ad alta quota e dei nostri sommergibili. Nonostante le sue due basi si trovassero agli estremi del mar Mediterraneo ( Gibilterra dista 900 Km dal Canale di Sicilia e Alessandria altrettanti) si convince che il Mediterraneo centrale non è più così intransitabile come lo si riteneva all’inizio del conflitto.
Roberto Biagioni
Per gentile concessione di Roberto Biagioni
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