Cronologia degli eventi

giovedì 27 gennaio 2011

La battaglia di Cheren

Cheren era una delle posizioni meglio difese nel territorio eritreo. Unica porta di accesso ad Asmara e al porto di Massaua sorge a quota 1400 metri nel mezzo di una vasta e fertile pianura circondata da montagne. Gli ultimi Km della strada che portano alla città passano in una angusta gola sovrastata da undici cime alte oltre 600 metri, ognuna delle quali è stata trasformata in una munita posizione difensiva. Questa battaglia, fondamentale per le sorti dell’intera campagna e per il destino della stessa colonia, ebbe inizio il 2 febbraio 1940.
Le nostre unità di difesa erano così organizzate:
- dall’ 11esimo Granatieri di Savoia comandato dal colonnello Corsi;
- dall’ 11esima Brigata coloniale proveniente dall’Asmara;
- dal IV Gruppo di cavalleria coloniale;
- 104 Gruppo di artiglieria;
Oltre a queste truppe venne dato l’ordine alla Prima Divisione di stanza a Karora di inviare la V Brigata in rinforzo alle nostre truppe. Il generale Carminio, fino ad allora comandante la Prima Divisione, fu nominato comandante dell’ultimo baluardo difensivo in Eritrea. Grazie alle sue intuizioni il nemico fu impegnato in 56 giorni di combattimenti furenti e sanguinosi che entrarono nella leggenda del nostro esercito e nella storia della Seconda Guerra mondiale.
I primi tentativi inglesi furono intrapresi dalla IV Divisione indiana all’alba del 3 Febbraio: Sanchill, Brigs Peak e Cameron Ridge, la famigerata quota 1616, furono assaltate a più riprese ma i contrattacchi italiani riportarono la situazione in equilibrio. Lo stesso Platt, in questi frangenti, si rese conto di quanto la partita si sarebbe rivelata durissima da vincere.
Il giorno 7 fu la volta della V Divisione indiana che sferrò un massiccio attacco sulla destra della gola presso il colle di Aqua Col: nonostante il terreno impervio la quota fu conquistata ma , in seguito a contrattacchi feroci, le truppe italiane riuscirono a riconquistarlo. Come detto le condizioni ambientali del teatro di guerra furono terribili: Franco Bandini così le descrive: sole a picco, quaranta gradi di temperatura, le truppe abbarbicate a roventi sassi vulcanici di montagne erte come colonne. Condizioni estreme in cui uomini spesso denigrati in patria diedero la vita per una speranza che ai nostri occhi appare irrealizzabile. Il 10 Luglio le truppe inglesi attaccarono nuovamente in entrambi i settori cercando i medesimi obiettivi degli attacchi precedenti: Brigs Peak, Aqua Col e Victoria Cross furono prese e perse e ogni volta il prezzo da pagare fu altissimo sia per l’una che per l’altra parte in lotta. Immensi sacrifici che portarono la situazione a cristallizzarsi fino a metà del mese di marzo quando inaspettatamente le due divisioni indiane piombarono nuovamente all’assalto. La IV ebbe come obiettivo il settore sinistro mentre la V avrebbe dovuto occupare Dologorodoc sulla parte destra. L’attacco, preceduto da un violentissimo bombardamento di preparazione, anche in questa circostanza non fece registrare particolari progressi. Furono giorni di combattimenti sanguinosi, all’arma bianca, sasso dopo sasso, quota dopo quota. Il 20 marzo gli Italiani furono ridotti ad un terzo delle loro truppe mentre gli Inglesi continuarono a ricevere rifornimenti.
La notte del 25 iniziò quella che sarebbe stata la fase conclusiva della più grande battaglia dell’Africa Orientale: dopo la conquista del Dologorodoc le truppe inglesi attaccarono il Sanchil. Alle 4 ebbe inizio la preparazione del’artiglieria sulle quote 1407 e 1341, seguite dai reparti di fanteria:
- la IV Divisione, ripartita su più colonne attaccò le posizioni italiane sul Sanchil e punta Forcuta
- la V Divisione piombò invece sulle due quote bombardate per travolgere le difese anticarro.
L’attacco ebbe successo: alle nove del mattino gli alpini dell’ Uork Amba furono sopraffatti e dovettero arretrare, nonostante ciò si continuò a combattere per tutto il 26 e 27 con il generale Carmineo sempre in prima linea a combattere ed a incoraggiare i propri uomini. Fu il generale Frusci a diramare l’ordine di ritirata che fu effettuata in un ordine quasi perfetto. Questa decisione fu molto criticata dagli uomini del regime ma anche da molti storici moderni. A parziale difesa del generale va sottolineato che egli prese questa decisone quando fu informato che una colonna britannica, agli ordini del brigadiere Briggs, stava giungendo alle spalle delle sue truppe che non avrebbero potuto opporre alcuna resistenza a d un suo attacco.
In otto settimane di combattimenti gli Italiani ebbero oltre 3000 caduti: i 7 battaglioni nazionali furono ridotti a poco più di 400 uomini ciascuno! Oltre a ciò andarono perduti 120 cannoni. Le truppe inglesi dovettero registrare 560 morti e oltre 2500 feriti.
Dopo la sconfitta di Cheren ormai anche la fine della nostra colonia d’Eritrea è segnata. La strada per Asmara fu aperta. L’ultimo tentativo di difesa venne portato dal generale Carmineo ad Ad Teclesan ma i nostri scarsi mezzi furono presto soverchiati da quelli del West Yorkshire. Alle 10.30 del 31 marzo avviene la fine ufficiale della colonia d’Eritrea. Massaua intanto continuò a resistere fino all’ 8 Aprile quando in seguito ad un ennesimo attacco l’ammiraglio Bonetti si arrese al generale Heath. Con lui capitolarono anche 9600 uomini e 127 cannoni. La campagna d’Eritrea potè dirsi ufficialmente conclusa, in questo modo le eventuali minacce verso il Mar Rosso e i territori orientali inglesi furono definitivamente scongiurati tanto che gran parte delle truppe inglesi fu trasferita in Egitto per combattere la Volpe dl Deserto.

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