Dopo l’inaspettata conquista di Mogadiscio il generale Cunningham decise di proseguire nella sua avanzata occupando anche l’ Etiopia italiana: una ghiotta occasione per chiudere prima del previsto le operazioni in Africa orientale. Due ragioni lo spinsero ad accelerare i tempi della sua azione:
- L’incertezza del futuro: egli non sapeva quando avrebbe dovuto cedere parte delle sue truppe per la imminenti operazioni in Africa occidentale;
- Le condizioni atmosferiche: tra aprile e maggio sarebbe iniziata la stagione delle piogge che avrebbe reso impraticabile le poche strade adatte al passaggio delle sue truppe;
La marcia delle truppe inglesi si svolse in maniera estremamente rapida: il 14 Febbraio cadde Chisimaio, il 26 Mogadiscio situata a circa 400 Km più a nord, due settimane dopo gli Anglosassoni si trovarono a Musthail ad oltre 1000 Km di distanza. Le truppe del generale de Simone in fuga furono inseguite dall’ XI Divisione africana del maggiore generale Wetherall. Ad essa furono aggregati il Primo raggruppamento sudafricano e la XXII Brigata dell’’Africa orientale. Gli Italiani, dopo la fuga da Mogadiscio, decisero di dirigersi verso Giggiga ad oltre 900 Km tra le pianure somale e le vette etiopi. In questa zona montuoso la strada si inerpica fino a quota 3000 metri di altitudine. La rincorsa inglese fu così fulminea che questa posizione dovette essere abbandonata il 17 Marzo. Il giorno 21 le artiglierie sudafricane diressero i propri colpi sulle truppe italiane in ritirata presso le posizioni da Passo Marda che fu abbandonato nel corso della notte per ritirarsi e proseguire la resistenza al Passo di Babile. L’arrivo delle truppe nigeriane fu così improvviso che le difese del passo non furono nemmeno approntate tanto che i nostri soldati dovettero retrocedere di 16 Km presso il fiume Bisidimo dal quale si ritirarono nuovamente per raggiungere la città di Harrar che fu, in seguito, dichiarata città aperta.
Intanto in molti centri si verificarono gravi scontri tra la popolazione etiope e i molti Italiani che ancora vivevano e lavoravano nel paese africano: a Dire Daua , dopo la fuga del presidio italiano, molti cittadini del nostro paese furono massacrati e molte violenze vennero commesse. Gli Inglesi che assistettero all’eccidio si ricorderanno di tutto ciò quando anche Addis Abeba cadrà.
Il Primo raggruppamento di brigata sudafricano arrivato nei pressi di Auasc e insieme alla XXII Brigata dell’Africa orientale colse di sorpresa la guarnigione in fuga da Dire Daua costringendola alla resa. La capitale Addis Abeba ormai distava solamente 250 Km.
Vista l’impossibilità di poterla difendere il Vicerè Amedeo d’ Aosta decise di favorire l’ingresso delle truppe inglesi nella città etiope affinchè non si verificassero le atrocità commesse a Dire Daua. Le prime truppe nemiche entrarono nel centro abitato alle prime luci dell’alba il 5 Aprile un mese prima che il Negus Hailè Selassi&egrvae; vi facesse ritorno scortato dalle truppe inglesi. Il 5 Maggio a bordo di una Alfa Romeo del colonnello Wingate potè percorrere le strade della città tra due ali di folla festanti.
Per l’esercito italiano dopo la caduta de l’Asmara, Mogadiscio, Addis Abeba e Harar non si prospettò più la possibilità di una vittoria ma la necessità di resistere il più a lungo possibile, sia per salvaguardare il proprio onore e quello del paese, sia per mantenere impegnate quelle truppe che altrimenti saranno inviare a combattere i propri compagni nel deserto libico e in Cirenaica. Alcune sacche di resistenza continuano a combattere:
- Gondar: situata nel nord – ovest del paese nella regione dell’Amhara con il generale Nasi;
- Gimma, nella regione dei Laghi, per iniziativa del generale Gazzera;
- Amba Alagi,dove si raccolgono gli uomini provenienti da Addis Abeba e dall’eritrea con il Duca d’Aosta;
Le speranze i vittoria delle ultime sacche di resistenza italiana erano ormai ridotte al lumicino: dopo la sconfitta di Cheren in Eritrea che permise alle truppe di Platt di invadere l’Etiopia da nord e la caduta di Addis Abeba ad opera delle forze sudafricane di Cunningham, la tenaglia inglese stava per chiudere la morsa contro le nostre stanche e sfiduciate truppe. La stampa del regime cerca di minimizzare l’entità delle sconfitte ma per gli uomini dell’Africa orientale non vi sono più speranze.
- L’incertezza del futuro: egli non sapeva quando avrebbe dovuto cedere parte delle sue truppe per la imminenti operazioni in Africa occidentale;
- Le condizioni atmosferiche: tra aprile e maggio sarebbe iniziata la stagione delle piogge che avrebbe reso impraticabile le poche strade adatte al passaggio delle sue truppe;
La marcia delle truppe inglesi si svolse in maniera estremamente rapida: il 14 Febbraio cadde Chisimaio, il 26 Mogadiscio situata a circa 400 Km più a nord, due settimane dopo gli Anglosassoni si trovarono a Musthail ad oltre 1000 Km di distanza. Le truppe del generale de Simone in fuga furono inseguite dall’ XI Divisione africana del maggiore generale Wetherall. Ad essa furono aggregati il Primo raggruppamento sudafricano e la XXII Brigata dell’’Africa orientale. Gli Italiani, dopo la fuga da Mogadiscio, decisero di dirigersi verso Giggiga ad oltre 900 Km tra le pianure somale e le vette etiopi. In questa zona montuoso la strada si inerpica fino a quota 3000 metri di altitudine. La rincorsa inglese fu così fulminea che questa posizione dovette essere abbandonata il 17 Marzo. Il giorno 21 le artiglierie sudafricane diressero i propri colpi sulle truppe italiane in ritirata presso le posizioni da Passo Marda che fu abbandonato nel corso della notte per ritirarsi e proseguire la resistenza al Passo di Babile. L’arrivo delle truppe nigeriane fu così improvviso che le difese del passo non furono nemmeno approntate tanto che i nostri soldati dovettero retrocedere di 16 Km presso il fiume Bisidimo dal quale si ritirarono nuovamente per raggiungere la città di Harrar che fu, in seguito, dichiarata città aperta.
Intanto in molti centri si verificarono gravi scontri tra la popolazione etiope e i molti Italiani che ancora vivevano e lavoravano nel paese africano: a Dire Daua , dopo la fuga del presidio italiano, molti cittadini del nostro paese furono massacrati e molte violenze vennero commesse. Gli Inglesi che assistettero all’eccidio si ricorderanno di tutto ciò quando anche Addis Abeba cadrà.
Il Primo raggruppamento di brigata sudafricano arrivato nei pressi di Auasc e insieme alla XXII Brigata dell’Africa orientale colse di sorpresa la guarnigione in fuga da Dire Daua costringendola alla resa. La capitale Addis Abeba ormai distava solamente 250 Km.
Vista l’impossibilità di poterla difendere il Vicerè Amedeo d’ Aosta decise di favorire l’ingresso delle truppe inglesi nella città etiope affinchè non si verificassero le atrocità commesse a Dire Daua. Le prime truppe nemiche entrarono nel centro abitato alle prime luci dell’alba il 5 Aprile un mese prima che il Negus Hailè Selassi&egrvae; vi facesse ritorno scortato dalle truppe inglesi. Il 5 Maggio a bordo di una Alfa Romeo del colonnello Wingate potè percorrere le strade della città tra due ali di folla festanti.
Per l’esercito italiano dopo la caduta de l’Asmara, Mogadiscio, Addis Abeba e Harar non si prospettò più la possibilità di una vittoria ma la necessità di resistere il più a lungo possibile, sia per salvaguardare il proprio onore e quello del paese, sia per mantenere impegnate quelle truppe che altrimenti saranno inviare a combattere i propri compagni nel deserto libico e in Cirenaica. Alcune sacche di resistenza continuano a combattere:
- Gondar: situata nel nord – ovest del paese nella regione dell’Amhara con il generale Nasi;
- Gimma, nella regione dei Laghi, per iniziativa del generale Gazzera;
- Amba Alagi,dove si raccolgono gli uomini provenienti da Addis Abeba e dall’eritrea con il Duca d’Aosta;
Le speranze i vittoria delle ultime sacche di resistenza italiana erano ormai ridotte al lumicino: dopo la sconfitta di Cheren in Eritrea che permise alle truppe di Platt di invadere l’Etiopia da nord e la caduta di Addis Abeba ad opera delle forze sudafricane di Cunningham, la tenaglia inglese stava per chiudere la morsa contro le nostre stanche e sfiduciate truppe. La stampa del regime cerca di minimizzare l’entità delle sconfitte ma per gli uomini dell’Africa orientale non vi sono più speranze.
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