Cronologia degli eventi

lunedì 4 luglio 2011

La tragedia italiana in Russia

I primi italiani arrivarono in Russia nel 1941. Con lo Csir, il corpo di spedizione italiano in Russia, poi inglobato dal'arrivo dell'Armir, l'Armata italiana in Russia. Fu l'inizio di una campagna di guerra che si trasformò in una débacle.

“Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don”. Così Mario Rigoni Stern inizia Il sergente nella neve, romanzo autobiografico sulla ritirata dell’Armata italiana in Russia (Armir) nell’inverno tra il 1942 e il ’43.

CHI MAL COMINCIA...
Che fosse una spedizione iniziata sotto i peggiori auspici c’era chi l’aveva capito fin dai primi giorni. Basta ascoltare le parole di Egidio Pin, artigliere alpino di Pianzano (Tv), classe 1921, inquadrato nella Divisione Julia, 3° Reggimento artiglieria da montagna. «Partimmo con la tradotta: passammo da Gorizia e poi, via Tarvisio, in Austria, Polonia e Ucraina. Ma lì ci dovemmo fermare: in Russia i binari avevano una larghezza diversa rispetto al resto d’Europa. Scendemmo e ci accampammo per la notte, noi e il migliaio di automezzi al seguito della “Julia”, parcheggiati in ordine, pronti a partire il giorno dopo. Non vi dico le bestemmie in quei momenti. Con tutta la strada ancora da fare e il treno fermo lì, cominciavamo bene». Prosegue: «Il giorno dopo, all’alba, ci preparammo a partire. Ma gli autisti, che erano stati i primi a salire sugli automezzi, avevano già scoperto che non si potevano nemmeno mettere in moto. Eravamo ancora in settembre ma durante la notte la temperatura si era abbassata a tal punto da far congelare i motori, dove nessuno si era preoccupato di mettere l’antigelo. Così, cambio di programma e via a piedi: marciammo per 5 giorni, facendo una quarantina di chilometri al giorno».

IL DIARIO DI UN REDUCE
In Russia c'è rimasto per 11 mesi, tra fame, freddo, pidocchi e marce interminabili a -40 gradi. Leggi il racconto del reduce di Russia Felice Ferrario nel suo diario inedito, cliccando qui.I giovani dell’Armir andavano a ingrossare le file dei primi arrivati: «Io in Russia ci sono arrivato nel 1941 con il Corpo di spedizione italiano in Russia (Csir): sono partito alla guida di un camion della Divisione Torino e me ne sono dovuto tornare a piedi. Dopo 20 mesi di guerra» precisa Leonida Giannelli, arzillo ottantanovenne di Calzolaro di Umbertide (Pg), caporalmaggiore decorato con la Croce di Ferro tedesca. Il primo convoglio dello Csir era partito infatti da Verona il 10 luglio di quell’anno: 62 mila uomini e 5.500 automezzi suddivisi in tre divisioni: “Pasubio”, “Torino” e “Celere”.

PARTENZA
Il rincalzo di 230 mila uomini è arrivato un anno dopo. «Ci hanno messo in mano un fucile modello 91, una baionetta e qualche vecchia mitragliatrice. E senza tanta preparazione siamo partiti, accompagnati alla stazione dalla fanfara, tra i saluti e i pianti dei nostri cari. Eravamo tutti commossi» dice ripensando a quei momenti Giovanni Mirenda, nato a Sperlinga (En) nel 1921, partito con l’Armir.
L’ufficiale di artiglieria alpina Franco Fiocca, milanese classe 1921, si avviò con tutt’altro spirito: «Per me, appassionato di scalate, la Russia era un sogno. Voleva dire avventura. Molti di noi erano spinti dalla voglia di crescere e di imparare. Poi eravamo galvanizzati dalla propaganda e dall’idea di una guerra lampo, di cui tanto vaneggiavano i tedeschi. Solo quando fui lì realizzai. Innanzitutto che non c’era motivo che noi andassimo a “rompere le scatole” ai russi. Si vedeva che era brava gente, gente come noi». Stesso impatto con il nemico anche per Giovanni Mirenda: «La cosa che mi ha colpito quando siamo giunti nella terra degli zar è stato il mesto sorriso dei russi e, ovunque, i segni della miseria provocata dalla guerra».


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